– di Giuseppe L’Erario –
Le atmosfere descritte da Luigi Porto nel suo quinto album da solista “Tell Uric” sono lo specchio e la sintesi della precarietà odierna generata dal decadimento delle relazioni sociali.
La “scossa” che la musica di Porto riesce a infliggere nel profondo di chi sta approcciando alla sua musica (come suggerisce il titolo stesso “tellurica”) è qualcosa di sconvolgente e catartico allo stesso tempo.
Dal punto di vista sonoro, il disco è volutamente elettronico; l’uso contraddittorio di sonorità instabili e delicate rende egregiamente l’idea di un mondo in preda alla mutabilità e alla tensione; una realtà visibile descritta e rappresentata prima armonicamente e poi tematicamente in maniera magistrale.
Luigi Porto è un artista italiano ormai stanziato a New York da diversi anni, contaminato da più fattori stilistici, nel suo ultimo lavoro discografico pennella l’immagine di una parte della società fortemente discriminata, e perciò in continuo equilibrio instabile. La sua “tela” è satura di immagini del passato e del presente, perlopiù ricordi dell’autore, che descrive intimamente i suoi stati d’animo, la sua intrinsecità, il suo rapporto con il mondo esterno.
Durante l’ascolto di “Tell Uric” si nota in particolare una certa dimestichezza nell’utilizzo di vari strumenti elettro-acustici che rendono illusorio e distopico il racconto, quasi al limite del “non ascoltabile” e dell’impercettibile. Il risultato di questa minimale cura dei dettagli è una sperimentazione ipnotizzante che cattura l’orecchio dell’ascoltatore attento e stupisce piacevolmente anche chi è a digiuno di concetti musicali.
Le atmosfere cupe e riflessive di brani come “Uljhan”, ispirato all’omonimo thriller hindi del 1975 diretto dal regista Raghunath Jhalani, fortificano l’analisi accurata di Porto segnando una sorta di “Terra di Mezzo” per l’accesso alla seconda parte del disco caratterizzata da brani più “leggeri” come “The Sun” e “Family”.
Tuttavia, il suo essere “leggero” è comunque condizionato da tematiche inerpicate su una scoscesa poco agibile che rende affascinante la narrazione e “ingabbia” l’attenzione, quasi a voler stuzzicare le nostre capacità attentive. Il racconto di Luigi Porto è ben dettagliato e cogitato, a tal punto da ritrovarsi in un vortice di suoni inaspettato che stupisce e contamina.