Oggi in Anteprima per EXITWELL lanciamo il video che finalmente traduce in immagine il bellissimo singolo “Yuki O”, title track dell’esordio da cantautore dell’artista Angelo Sicurella. Parliamo di un disco uscito nel novembre del 2017 ma che oggi ritorna ad avere nuova voce proprio grazie a questo bellissimo lyric video realizzato da Manuela Di Pisa. Ricordiamo anche che che già in questo tempo “Yuki O” è stato rivisto e ridisegnato nelle due splendide versioni remix firmate da Guenter Raler (alias Irene Cassarini, dj, producer e sound designer) e dalla sassofonista Laura Agnusdei (anche musicista da tempo impegnata nel campo dell’elettronica). “Yuki O” porta con se concetti di tempo e di società, la raffigurazione attraverso una ragazzina, Yuki O appunto, di quanto la quotidianità sta investendo tempo a renderci fragili, incapaci di usare e di saper usare il nostro tempo. Un concetto ormai divenuto anche mediatico, qualcosa di cui parlare anche per moda, che però riteniamo debba essere custodito e diffuso con attenzione e sensibilità. Noi ci fermiamo qui ma l’invito che vi facciamo è quello di indagare, con la calma dovuta, il mondo di Angelo Sicurella: la forma canzone è solo una delle tante espressioni che lo lasciano vivere in questo tempo in cui l’arte ha un’aspettativa di vita davvero bassissima. E la colpa è soltanto la nostra incapacità di investire del tempo.
La velocità del mondo. Penso sia un concetto a te caro. Yuki O in qualche modo combatte contro lo sgretolarsi del tempo, inteso come spazio da dare a se stessi e alla contaminazione culturale in genere… non è così?
Si è così. E se da una parte è importante gestire il proprio tempo senza farsi fagocitare dal concetto di tempo imposto dalla società, dall’altra è importante che gli schemi e i confini in cui siamo portati a crescere vengano valicati per restituirci una certa qualità della vita. La contaminazione culturale senza dubbio è un fenomeno importante, utile ad aprirci al mondo e alla vita restituendoci una crescita sociale e culturale che la chiusura netta dentro dei confini definiti non può darti. Oggi siamo davanti a un mondo che ha fatto una virata sostanziale, premendo l’acceleratore sulla forza muscolare dello sgomitatore che deve fare a pugni con chiunque per dirsi il primo della classe. Stanno tornando confini sempre più netti dei ricchi e dei poveri, dei primi e degli ultimi che per ragioni di propaganda vengono messi contro gli ultimissimi. L’organizzazione fallimentare del lavoro e della previdenza sociale impone di vivere per lavorare piuttosto che il contrario. La deriva politica odierna fa leva sull’odio per fare punti percentuali nel partito come fosse la raccolta punti da becero hard discount e a discapito di vite altrui. Di sicuro non è un bel momento. La velocità dall’altro lato ci ruba la possibilità di approfondire. Approfondire un articolo di giornale. In quanti esprimono la propria opinione leggendo soltanto il titolo? La rete ha uniformato in maniera spaventosa la possibilità che tutti possano dire tutto su tutto, a volte senza il minimo della preparazione, mettendo anche in dubbio la scienza. E ti rendi conto che velocità a volte fa rima con superficialità e banalità. E oggi sembra difficile trovare uno stimolo sincero che ti spinga a desiderare di approfondire una conoscenza, un desiderio, la realizzazione di un sogno. Yuki riparte da zero per questo motivo. Si ferma e capisce che deve riprendersi il suo tempo, quindi riprendersi in mano la vita. Porsi altre scadenze, che non combacino necessariamente con le scadenze imposte dai ritmi a cui ti ostina la società.
A questo punto ti chiedo: che significa per te il tempo?
Il tempo è un concetto che dipende dalle sovrastrutture socio antropologiche e storiche alle quali apparteniamo. Vivere il tempo a Palermo e a Nusa Penida, o tra gli indigeni dell’Amazzonia (sperando che li lascino in pace nelle loro terre) o tra i pigmei ha un senso e un valore diverso. Il tempo della società divide la sua porzione di concetto con il tempo individuale che ha a che fare con ciò che vuoi fare e non sempre con quello che devi fare. Il tempo va vissuto. Ed è diverso da essere vissuti dal tempo. Ma questa è una scelta consapevole che solo noi possiamo essere in grado di fare. È una condizione che dobbiamo sviluppare prendendoci in mano la nostra relazione col mondo e con i nostri desideri.
Lanciamo questo video che è sintetico, semplice ma assolutamente poco diretto e scontato. La lentezza nel down-tempo è lentezza di caduta… tutto scorre lentamente. Come nasce questo video?
Viene fuori dall’idea che nascere è come un po’ come precipitare dentro un mondo che è già di per sé strutturato e codificato da regole comportamentali che ti inseriscono in un cammino educazionale. Questo mondo è quindi un contenitore anzitutto ricco di confini e di definizioni. Ti dice perfino in che maniera è opportuno avere a che fare con la propria sessualità, cercando di mantenerla all’interno di una dualità etero che probabilmente fa comodo solo in termini socio-economici e religiosi. Nascere appartiene alla vita e la vita appartiene alla natura. Natura è ciò in cui ci si riconosce di essere. E quando imponi uno stress pesante alla natura ne viene fuori uno tsunami, la natura si ribella. Ciò che è imposto e rigorosamente chiuso e definito non è mai confortevole e oggi più che mai è palese sia solo frutto di prigioni della nostra mente imposte solo per un tornaconto politico e sociale. La metafora di una Yuki che cade all’infinito in uno spazio è questo precipitare, questo venire al mondo in un contenitore già predefinito e confezionato.
Che l’adagio scorrere delle cose sia una cura contro il conformismo industriale a cui tutti siamo chiamati?
Ognuno ha il suo tempo, in ogni cosa.
Di questo brano esistono due remix. Ci racconti come mai questa scelta? A quale dei due ti senti più legato?
Ci sono due remix dello stesso brano perché il desiderio era che ci lavorassero due musiciste come Laura Agnusdei e Guenter Råler, che hanno saputo dare due visioni diverse ed entrambe, a mio avviso, molto belle di un brano come Yuki O. Il loro modo di fare musica mi affascina ed è il motivo per cui desideravo con loro una condivisione. Alla fine poi il remix è questo, dare una parte di te a qualcuno che lo rilegge facendolo suo e condividendo a sua volta una parte di sé con te. Uno scambio che molto spesso apre le porte a suoni e a interpretazioni nuovi e a volte inaspettate e affascinanti. Vi invito ad ascoltarli su Spotify o su Apple Music.
Ad Angelo Sicurella si associano sempre tante forme di arte e di espressione. Vorrei fare un focus sulla voce e sullo studio che hai condotto… dove ti ha portato?
Ho cominciato a ragionare seriamente sulla voce e in una maniera più sperimentale a circa diciassette anni. Fino ad allora facevo cover dei Led Zeppelin, ma volevo andare oltre. Mi piacevano i Gong e altre band che facevano un uso delle voci diverso. Così, cercando nel panorama del prog italiano ho scoperto diverse voci interessanti, ma quello che mi prese il cervello e me lo girò al contrario fu Demetrio Stratos. Un colpo di fulmine. Da autodidatta cercavo di trovare il modo di riuscire a interiorizzare e fare miei certi suoni. Capire l’anatomia del mio corpo in relazione ai suoni è stato fondamentale. Quando ho raggiunto dei risultati che mi interessavano ho allargato il campo dell’attenzione verso altri, Patton, Minton e altri sperimentatori giapponesi che collaboravano con Zorn. L’emulazione si spingeva anche alle voci che facevano uso di effetti che non avevo e a cui mi avvicinavo con il suono della voce al naturale. Così facendo ho collezionato una sorta di libreria di suoni della voce. Una parte di questi me li porto ancora dietro, altri li ho abbandonati perché mi sembravano via via superflui o qualcosa di vicino a un numero da circo. Per anni ho fatto blues che mescolavo con le ricerche vocali su Nusrat Fateh Ali Khan o con i canti nei riti mongoli o inuit. La voce è un mondo pazzesco! Quando infine ascoltai Jeff Buckley, tornai in qualche modo alla scrittura e alla voce della forma canzone concentrandomi sulle melodie e sulla scrittura. Ma la forma canzone è una cosa con la quale mi piace giocare. Mi piace entrarci e uscirne a mio piacimento, evitare ritornelli dove mi interessa o farne una che somigli a un refraine continuo come I sogni scivolano, o inserire dei soli di voce con melodie pachistane che guardano a Nusrat Fateh Ali Khan come in Ubriachi di sale. E in questo un uso della voce più libero mi agevola tanto.
Una domanda assai marzullliana: hai mai conosciuto nella vita reale di tutti i giorni una Yuki O?
Si.