– di Edoardo Biocco.
Foto di Fabrizio Fenucci –
Natura Viva è il titolo del terzo album degli Eugenio in Via di Gioia, fuori dal 1 marzo per Universal.
Questa sera la band di Torino tornerà a calcare il palco romano del Monk a pochi mesi di distanza dall’ultima apparizione in una data che, tanto per cambiare, è già sold-out da un po’.
Di quale sia il concetto di “Natura Viva” per gli Eugenio in Via di Gioia, del superamento del secondo album che “è sempre il più difficile nella carriera di un artista” (cit.), di playlist e altro, abbiamo discusso proprio con loro.
Domanda facile facile: come mai “Natura Viva”? Cosa cambia rispetto a quella morta?
Il titolo nasce proprio dalla contrapposizione con la natura morta, e quindi com’era solito fare l’artista nel Medioevo che definiva “inanimati” oggetti come la frutta, noi abbiamo voluto rendere onore alla Natura a modo nostro, dandole l’accezione di “viva” perché alla fine ci sentiamo parte di essa e non vogliamo essere, come dice la Bibbia, “dominatori del mondo” ma invece convivere con tutto ciò che lo compone. Anche se in realtà il titolo è venuto fuori quando ci siamo messi a tavolino, abbiamo riascoltato tutte le canzoni e ci siamo segnati le tre o quattro parole-chiave, tra cui spiccava la natura, appunto.
Non volendo “dominare la natura” nel disco voi auspicate una semplificazione della vita.
Esatto, e noi siamo partiti da una semplificazione musicale e testuale. Diciamo che abbiamo fatto ritorno ad un’austerità, una parola che è un richiamo alla semplicità, alla giusta misura delle cose, al ridare il giusto peso ad ogni situazione. Questo secondo noi è quello che è venuto meno nell’Occidente in cui viviamo…
Tutte le canzoni in “Natura Viva” tendono a voler restituire all’ascoltatore una dimensione a volte di casa, a volte di altrove, o comunque di luogo-non luogo dove soprattutto poter ritrovare serenità. C’è anche la voglia di distruggere i miti del nostro tempo come i soldi, la ricchezza, la ricerca del piacere dei sensi a tutti i costi che alla fine equivale all’annichilimento di ogni sensazione. Tutti questi elementi noi li vediamo come fuorvianti rispetto al poter ritrovare dei luoghi sicuri e di pace.
Quindi il fatto che questo sia il vostro album più posato è dovuto alla volontà di far passare meglio un pensiero importante per voi?
In realtà è avvenuto tutto in modo molto spontaneo, quella poi è stata una conseguenza più che una ricerca. Forse è venuta insieme al fatto che noi per primi ci siamo posti nei confronti dell’arrangiamento e della scrittura in modo diverso rispetto al passato: prima per scrivere le nostre canzoni dovevamo urlarle per farci sentire, proprio perché quando sei un gruppo emergente nessuno ti ascolta, nascevano brani per lo più nelle piazze o nei locali in cui il pubblico che avevi davanti non era per forza un tuo fan e il risultato si sente nei primi album molto più “urlati”. Adesso, invece, stiamo cercando di gridare sempre meno e proviamo quasi a sussurrare gli stessi concetti ma in un modo evidentemente diverso, non c’è più la necessità di alzare il volume perché abbiamo degli ascoltatori con le orecchie tese, non serve più che certi temi vengano affrontati col teatro canzone o con la battuta simpatica, anzi hai la possibilità di concentrare l’attenzione su discorsi un po’ più profondi. È come se stessimo interpretando il punto a cui siamo arrivati nella nostra carriera anche nella musica, in modo inconscio.
Quindi pensate di aver passato lo scoglio caparezziano del secondo album più difficile e adesso con il terzo siete più tranquilli?
Sicuramente abbiamo passato lo scoglio, e anche bene, visto che il nostro secondo album è quello che ha raccolto più consensi, dal punto di vista dei numeri, banalmente. Adesso abbiamo la sensazione che il nostro scoglio sia passato positivamente, poteva arrivare una risposta negativa, ma il pubblico ha reagito come speravamo! Anche se, come si dice sempre, non si è mai del tutto arrivati e con “Natura Viva” speriamo di farcela ancora una volta…
E non vi spaventa il pensiero di passare per i “venduti” al pop, come è successo ad altri vostri colleghi?
Noi non ci poniamo il problema, ciò che scriviamo è farina di quello che abbiamo in testa in quel momento. Poi, sinceramente, noi non ascoltiamo molto indie, però siamo molto all’interno di quel mondo (per esempio seguiamo tutti i gruppi social in cui se ne parla, un paio di playlist Spotify…), anche perché questi sono i contenitori in cui passa la maggior parte della musica emergente, per cui essere in quel contenitore per noi è una gran botta di culo e una botta di ascolti! Per esempio su IndieItalia è entrata in playlist “Cerchi” che secondo me non ha molto a che fare con il genere, ma forse vuol dire che in qualche modo abbiamo raggiunto anche quel pubblico lì. Da parte nostra non c’è molta ricerca in quel bacino, ascoltiamo tutt’altro, ma indubbiamente quel contenitore ha molto appeal fra i giovani e ci fa gioco, dall’altra parte non cerchiamo cose del genere. Penso a Brunori, capostipite del genere indie, che non compare nella playlist di IndieItalia, come se avesse superato queste cose. Noi forse siamo ad un punto della carriera in cui crediamo di avere ancora bisogno di quell’appoggio, ma magari dal prossimo disco non ce ne sarà più bisogno.
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