– di Riccardo Magni –
Eccolo il primo disco in italiano di Wrongonyou, che arriva dopo i due singoli “Mi sbaglio da un po’” e “Solo noi due”. Si intitola Milano parla piano ed è un album piuttosto breve, 27 minuti e 48 secondi, che presuppone un ascolto “facile” nonostante le 9 tracce. Nessuna delle quali arriva a 4 minuti di durata: due superano appena i 3′ (Milano parla piano e Perso ormai, 3 min. e 7 secondi), una non ci arriva nemmeno (Ora, 2 min. e 42 sec.) ed una in realtà è l’outro (OutrOra, 48 secondi), che si collega alla traccia precedente “Ora”.
Certo, cronometro alla mano sarebbero risultati significanti se si stesse parlando di una corsa sui 1500 metri piani, mentre lasciano un po’ il tempo che trovano parlando di musica, ma come detto, pezzi tutti brevi che formano a loro volta un album breve, presuppongono un’attenzione alla capacità d’ascolto attuale dell’utente medio “da Spotify”, cioè piuttosto bassa, purtroppo. Il che non è necessariamente un male, sia chiaro, se in quella mezzora scarsa di album, si riescono a trasmettere contenuti e soprattutto emozioni, perché poi possiamo parlare ed analizzare quanto vogliamo, ma il succo resta quello: la musica che piace, è quella che in qualche modo emoziona. Come riesca a farlo in realtà, interessa relativamente.
Nel suo primo disco in italiano il talento vocale di Wrongonyou arriva inalterato, anche se ad un primo impatto la voce non è immediatamente riconoscibile. Ma non è inusuale quando si cambia lingua nei testi. E forse a spiazzare un tantino invece, è proprio l’immediata riconoscibilità delle parole in italiano, che per forza di cose assume un gran peso rispetto alla grande musicalità di cui invece godevano i testi cantati in inglese. Come sempre, almeno per quel che riguarda la platea italiana, la differenza tra le due lingue e quasi tutta lì: il cantato in lingua straniera almeno al primo impatto è al 90% melodia, un tutt’uno con la musica. Ed in questo Wrongonyou è maestro, pochi ci riescono bene come lui. Ora, premettendo che non per forza le canzoni devono smuovere coscienze e rivoluzioni sociali, parlare di massimi sistemi o delle profondità dell’animo umano, altrimenti quella che conoscevamo come “musica leggera” che da sempre è la più ascoltata, non avrebbe mai avuto senso di esistere. Ma cantando in italiano invece che in inglese, le parole si capiscono subito e per forza di cose devono essere incisive, più forti, devono colpire e farlo duramente. Questo forse è l’aspetto su cui lavorare di più per il futuro, fermo restando la validità assoluta di tutto il resto.
Le sonorità anche differiscono un po’ da quelle a cui ci aveva abituato e con cui ci aveva conquistato negli scorsi anni, ma come detto la cura delle melodie e della produzione in generale sono impeccabili, e pur ammettendo la differenza non lasciano spazio a lamentele nostalgiche. Del resto, e qui probabilmente si chiude il cerchio delle considerazioni, parliamo di un disco uscito a marchio Carosello Records, che si rivolge ad un pubblico certamente più ampio di quello della scena prettamente indipendente. E di questo, per Marco che è un ragazzo che merita, e per il suo progetto Wrongonyou che merita altrettanto artisticamente, non possiamo che essere contenti.