– di Andrea Augello –
Alberto e Luca Ferrari insieme a Roberta Sammarelli sono i Verdena, band rock formatasi ad Albino nel ‘95 e divenuta una tra le più famose in Italia nel giro di pochissimi anni, grazie a singoli quali “Valvonauta” e “Viba”.
Dopo ben sette anni dall’ultimo disco, “Enkadenz”, i Verdena riescono a tornare, nonostante le difficoltà riscontrate durante la pandemia ammesse dallo stesso Alberto Ferrari, cantante, chitarrista e produttore della band.
A differenza dell’ultimo album, doppio, “Volevo Magia” risulta un disco molto asciutto e scorrevole: la tracklist è ridotta a 13 canzoni (a fronte delle 26, di cui molte ridondanti, di “Enkadenz”) e la scelta dell’ordine dei brani è ottima, perfetta per creare un alternarsi che non annoia mai l’orecchio e incuriosisce l’ascoltatore, incapace di prevedere la traccia successiva.
Oltre all’ottima “playlist” (lasciatemi passare il termine) il disco vanta una grande varietà nei suoni scelti: in “Volevo Magia” si toccano molti generi cari ai Verdena, ma con alcune note di novità. Prendiamo per esempio la title-track, che presenta gli aspetti tipici dell’hard-core, o “Paul e Linda”, che suona come un pezzo hard n’ blues.
In ognuna delle tracce l’evoluzione interna del brano è interessante: in “Diabolik” quelli che all’inizio sembrerebbero essere due violoncelli si rivelano poi essere un intreccio (o valzer) di due chitarre distorte, ma è solo un esempio.
Da premiare è senza dubbio la ricca scelta di strumenti digitali e analogici implementati, come ben si nota nel finale di “Cielo Super Acceso”: qui la registrazione del canto in inglese macaronico di Ferrari viene completamente distorta o per l’uso del reverse, come nell’ultima traccia “Nei Rami”.
Il fiore all’occhiello del disco è però la ballata acustica “Sui Ghiacciai” in cui il canto malinconico ritorna come un’onda per raccontare il sentirsi soli, il ritrovarsi e mai scendere a compromessi, come tipico del carattere della band bergamasca.
I testi dei Verdena sono da sempre astratti, sfuggenti e privi di un vero senso (e in questo ultimo disco forse ancor di più): per come la intende Ferrari, la voce è uno strumento come gli altri e le parole un semplice pretesto per creare immagini. Di nota è senz’altro il testo di “X sempre assente”, in cui è il conflitto interno tra il voler abbandonare e il voler reagire ad essere il protagonista.
C’è da dire però che, nonostante gli evidenti pregi del disco, “Volevo Magia” suona come un’occasione sprecata, almeno in parte: le novità non sono abbastanza da creare qualcosa di unico all’interno della loro discografia, come ci avevano abituati in passato. L’album risulta quindi un disco tipico dei Verdena, con un paio di brani tutto sommato dimenticabili. Penso a “Paladini” o “Certi Magazine” che, seppur eseguite bene, sono tracce che somigliano molto, fin troppo, alle loro vecchie glorie.
Nel complesso, “Volevo Magia” è un disco che, nella sua natura ambivalente, in bilico tra novità e vecchio, può voler dire due cose: che i Verdena abbracceranno le nuove sonorità (come quelle hardcore, presenti nella già citata “Volevo Magia”) o che da qui in poi continueranno a fare buoni dischi ma autoreferenziali.
Una cosa certa è che rimarranno sempre integri e vicini al loro modo di fare musica. E questo è un pregio da accogliere con gioia.