– di Naomi Roccamo –
“DPCM” è il grido introspettivo d’esordio di Visconti, nome d’arte di Valerio Visconti (diciamo che più artistico di così non c’è), pubblicato il 18 marzo 2022 per Dischi Sotterranei.
Sette brani graffianti fra cui i singoli “Ammorbidente” e “Le idi di marzo”, capaci di raccontare come questo bizzarro periodo storico possa intrecciarsi con il percorso di crescita che è a uno step più delicato che mai. La classe è 2000 ma anche a distanza si sentono subito una maturità e un’umiltà senza pari.
Ci sentiamo in chiamata per parlare del disco; io mi scuso in anticipo per la mia voce nasale a causa del Covid, lui mi dice che il Covid non ce l’ha ma mi ascolta volentieri.
La tua musica è influenzata dal vecchio panorama musicale italiano e il tuo disco è stato prodotto da Giulio Ragno Favero, bassista de Il Teatro degli Orrori. Sei un fan di quel periodo lì?
Direi di sì. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la musica italiana e anche in casa mia si ascoltava musica inglese. La musica italiana l’ho scoperta da solo al liceo, partendo dai classiconi del cantautorato. E sì, band come i Blue Vertigo, gli Afterhours mi hanno influenzato in qualche modo. Il Teatro degli Orrori se devo essere sincero l’ho scoperto l’estate scorsa, quando ancora non immaginavo di dover collaborare con Favero e poi Dischi Sotterranei mi ha comunicato che il disco sarebbe stato prodotto da lui. Ero ovviamente felicissimo perché avevo appena sbloccato questa wave musicale e ci sono entrato dentro in qualche modo. Poi credo a priori abbia funzionato, in maniera spontanea, senza adattarsi troppo, perché abbiamo comunicato bene fin da subito; anche il dover lavorare con lui solamente, non con l’intera band, ha creato un’intimità, è diventato un mio consigliere e spero di lavorarci in futuro.
Vi siete contaminati a vicenda.
Sì, poi lui ha un approccio alle sonorità che ho apprezzato fin dall’inizio, ragiona rifacendosi al sound italiano anni Novanta, alle sue esperienze musicali. C’è stata affinità da questo punto di vista.
Per quanto riguarda la musica internazionale, invece? Mi sembrano palesi i richiami all’indie rock, si sentono le chitarre degli Strokes, in “Narcisi Sbagliati” soprattutto!! Hai un passato di amore con questo genere? Mia sorella ha più o meno la tua età e mi ringrazia per averle trasmesso la curiosità verso gruppi che la sua generazione non si sarebbe mai filata.
[Ride, nda] Be’, sì, li ascolto spesso! In realtà è strano perché io dai miei genitori ho avuto input che riguardano la musica post punk anni Ottanta, tipo Joy Division etc, ma la vera cultura me la son fatta da solo tramite YouTube a dodici-tredici anni. Da lì il mio amore per gli Strokes, Interpol, Bloc Party. Una folgorazione casuale.
Il tuo disco si chiama “DPCM” perché il lockdown di marzo 2020 è la fonte della tua creazione. Cosa riporta alla tua mente esattamente questa parola?
“DPCM” sono quattro lettere emblematiche per tuti. Secondo me è un punto di partenza che collega atmosfere e sfumature di ricordi che rimarranno vivi in tutti quanti, credo. Personalmente per me rappresenta un periodo di grandi cambiamenti in cui ho abbandonato gli studi per suonare e ora sto studiando design del suono qui a Milano, i miei genitori si son separati, sono morte delle persone a me care, per cui è un po’ il mio filo rosso e quello dell’album e attraverso i brani viene fuori il mio punto di vista. Lo stato di emergenza a un certo punto non è tanto quello sanitario quanto quello del mio spazio personale e di chi mi circonda. E questo provo a raccontarlo nel disco.
Sei inevitabilmente legato all’opera Morte a Venezia visto che il tuo cognome e nome d’arte, Visconti, è lo stesso del regista. Ti ha spinto proprio questa cosa a leggere il libro o vedere il film, o magari entrambi?
Io ho il libro in casa, ma essendo un accumulatore seriale di libri che legge le prime cinquanta pagine per poi abbandonarli non negherò che questo è successo anche col libro di Thomas Mann. In realtà il collegamento con Visconti l’ho fatto un bel po’ dopo [ride, nda]. Sì, il libro l’ho comprato dopo aver visto il film, però quando ho scritto il pezzo “Morte a Venezia” non ci ho minimamente pensato, anche perché non avevo ancora scelto un nome. Riassume un po’ l’atteggiamento che ho avuto alla scrittura del testo, questo regime di casualità che a un certo punto diventa causalità mi affascinava. All’inizio non sapevo di cosa scrivere, avevo scritto solo la parte strumentale, allora ho provato a far ruotare tutto attorno a richiami casuali della letteratura, citazioni, storpiature e da lì è nato questo esperimento lirico, un po’ naif.
Una curiosità: la foto della copertina dell’album, con il gasometro, l’hai scattata a Roma? Come mai questa scelta poco convenzionale?
Mi chiedono tutti se si tratta di Roma, in realtà è il gasometro di Milano! L’ho scelto insieme al batterista dei Giallorenzo, Fabio Copeta, perché lui vive a Milano Est, al Tucidide, questo complesso che in passato era una fabbrica di ceramiche e ora è un insieme di loft ed essendoci accanto questo gasometro ci siamo detti “ma dai, facciamo rivivere questo scheletro”. Ci affascinava questo panorama decadente urbano.
Ho visto che sarai ospite al MI AMI al Milano. Si tratta della prima volta? Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Io suonerò domenica all’ARCI Bellezza, affiliato con il MI AMI Festival, proprio alla palestra Visconti, dove Luchino (vedi, torna sempre, lui!) ha girato Rocco e i suoi fratelli. Trattandosi del primo vero e proprio concerto che faccio a Milano sono tesissimo, anche perché non si tratta dei concerti con pochissime persone con la mia band al liceo. La prima volta che ho suonato da Visconti è stato a Padova, al Marcella Bella, organizzato da Dischi Sotterranei, coi Giallorenzo. Sarà il beta testing di Visconti e non vedo l’ora onestamente, anche perché voglio completare quello che è il percorso della realizzazione di un disco. Poi sono pezzi che voglio proprio suonare del vivo, per me sarà terapeutico.
Infatti i tuoi pezzi credo troveranno la loro dimensione proprio live!
Sì, poi a me piace molto rivisitarli live, renderli più sporchi e creare una performance live più coinvolgente. Spero che nessuno rimanga impassibile!
Non so se parlo per me e basta, o forse per chi ama la musica in generale, ma ora che la capienza ai concerti è tornata normale siamo pronti a buttarci sotto al primo palco con musica di qualità, non importa chi ci stia sopra.
Concordo assolutamente!
Ti faccio una domanda un po’ troppo curiosa e personale, ma sicuramente mi risponderai che è una casualità: sul tuo profilo IG in evidenza c’è una canzone che ho ascoltato e ricollegato artisticamente a te, “Gallowdance” dei Lebanon Hanover. C’è un motivo se è ancora lì?
Se devo essere sincero me ne ero completamente dimenticato [ride e ridiamo entrambi, nda]. Sicuramente i Lebanon Hanover sono il punto di partenza della mia esplorazione del mondo dark e lo-fi, quel mondo gotico che in qualche maniera rispecchia la mia estetica e il mio percorso. Acquiterme, il posto da cui vengo, oltre a essere una località di storia, ha un’aura un po’ mistica, legata all’occultismo, a un immaginario dell’orrido affascinante, piena di castelli abbandonati e monasteri. Quindi è anche per questo motivo se ho un po’ il feticcio per la morte [ride, nda].