Caterina Dufi, classe 1998. Vive a Bologna, dove studia da qualche tempo. Vipera lavora costruendo un immaginario ibrido, spartito tra musica e arte visiva. L’estetica e le intenzione del progetto riprendono musicalmente il Frusciante di “Niandra LaDes and Usually Just a T-Shirt”, le sonorità di Mount Eerie, le suggestione del misto inglese-italiano care a Flavio Giurato, le visioni aride del litorale adriatico di Umberto Palazzo, l’insaziabile sete di conoscere sè stessi, l’efferata sperimentazione del primo e ultimo Battiato.
“As with Fire“ ci avvicina all’omonimo EP d’esordio di Vipera, che rimescola queste suggestioni musicali assieme a testi che più che raccontare evocano, più che portare alla luce vogliono restituire l’esperienza di un mondo filtrato e rarefatto, lontano ma pervasivo. La scelta di fondere inglese e italiano, deriva dalla volontà di chiarificare e servire l’intendo del progetto: superare l’esaltazione che la forma-canzone (specialmente italiana) ha tributato alla narrazione, al significato al “retroscena” del testo. O al vissuto dell’artista. Non è tempo per questo. I testi e i brani sono una forma di preghiera. Con questa uno cerca di salvarsi da sè stesso o dalla sua storia, come volete voi.
Ecco cosa ci ha raccontato!
Chi è Vipera e chi è Caterina Dufi? E chi ha la meglio quando litigate?
Vipera è una maschera verso cui mi rivolgo e che interrogo. Con la stessa maschera guardo e interagisco al di fuori, dopo e oltre questo dialogo a due. Vipera è il migliore dei canali di espressione che ho trovato in questo momento della mia vita. Di Caterina dovrei provare a dire al plurale, ma non so se le altre sarebbero d’accordo.
Leggiamo che tra le tue influenze c’è anche Battiato. Quando l’hai ascoltato per la prima volta e che cosa ti affascina della sua produzione musicale?
Battiato lo sento da quando ero bambina, lo ascolto ormai da qualche anno. Il suo è un percorso artistico di ricerca che sviscera, seduce, attraversa la musica in molti dei suoi linguaggi possibili, senza staccarsi dall’ attuale ma mai dimentico dell’eterno. Sarcastico, scaltro, indagatore, sia di sé che di quello che dell’io è lo specchio: il fuori. Questo mi affascina e m’incuriosisce dei suoi dischi. Dagli inizi “rossi” all’ultimo brano uscito. Un compito infinito.
Come ti trovi a Bologna? Esiste una scena musicale bolognese? Chi ne fa parte?
Bologna è un polo musicale acceso e stimolante e variegato, questa la sua caratteristica. La scena c’è e come! Compito arduo circoscriverla e definirla. Penso a tante band e progetti attivi, mi vengono in mente Sleap-e, Leatherette, Baseball Gregg, FERA, 1000voltegatto, Franek Windy, J.H. Guraj, e ne dimentico tanti altri.
In che modo i testi e i brani del tuo disco in arrivo sono una forma di preghiera?
La necessità primaria è stata quella di evocare. I brani e i testi li vivo come un’entità unica, complessa, che risponde all’intento di avvicinarsi a quello che si definisce il terzo suono: ciò che in un intervallo musicale appare senza che ci sia nessuno a suonarlo. In questa congiunzione, la preghiera.
Cosa ci puoi anticipare del tuo disco d’esordio?
Direi di ascoltare “As with Fire“, il primo singolo, che è appena uscito. Del disco parla meglio lui di me. È nato nel travagliato ma non banale anno ’20. Nei pezzi e nel progetto ci ha creduto da subito Niccolò Cruciani (in arte CRU, C+C=Maxigross), che mi ha guidato nella produzione e registrazione dei brani, interrogando e raffinando insieme a me la maschera di cui sopra. La famiglia di Dischi Sotterranei ha accolto Vipera, scommettiamo insieme su questa follia.