– di Luca Boetti –
Nella mia superficiale ignoranza non avevo mai sentito parlare, prima di ieri, di Tatum Rush. Non è un caso se ho usato l’aggettivo “superficiale”: dopo aver ascoltato il suo ultimo album e fatto qualche ricerca, ho scoperto che Mr. Giordano Rush ha pubblicato diversi singoli per Undamento, label discografica che gestisce, tra gli altri, anche Frah Quintale. Quest’ultimo è stato per parecchio tempo uno dei miei artisti italiani preferiti, c’è stato un periodo in cui avevo consumato di ascolti “Lungolinea.”, e non essermi mai informato su altri artisti che ruotavano nell’orbita della casa discografica che produceva i suoi pezzi mi sembra, oggi, qualcosa di estremamente superficiale.
Dopo essermi fustigato nel vano tentativo di espiare la mia colpa, ho deciso di farmi un altro giro a “Villa Tatum” per esplorare le sue stanze. L’album ha dodici tracce, di cui tre feat. molto ben riusciti. È sinceramente difficile trovargli una collocazione all’interno dell’alveo dei generi musicali: Tatum spazia dal pop elettronico all’acid jazz, con ingressi trap e rap e un sottofondo stupendo di musica elettronica, techno, disco anni ’70. Quello che si nota fin da subito è l’enorme mole di cultura contenuta in questo disco: non parlo solo di conoscenza e dimestichezza con la musica e le sue declinazioni (che sia chiaro, Tatum padroneggia egregiamente). Nei testi si sentono infatti moltissimi riferimenti alla cultura cinematografica, alla letteratura, all’arte visiva, e il bello è che si sposano tutti benissimo all’interno di pezzi dall’aria lasciva e naif. “Big Mama” è una collaborazione riuscitissima con Frah Quintale, disegna un edonismo ben poco velato ma comunque raffinato. “Dalla” (Lucio, attenzione) è una traccia che fa ballare fin dal primo ascolto, “Hydra” invece porta nel disco un’atmosfera profonda, evocativa ed onirica, andrebbe bene sia come pezzo di chiusura di una serata al Tempio del Futuro Perduto che come sigla di un film di James Bond.
Più di ogni altra cosa però “Villa Tatum” spinge a una riflessione sulla musica e il suo rapporto con l’arte: l’album è un perfetto esempio di come sia possibile giocare con le tendenze musicali dando loro nuova linfa creativa. Tatum aggiunge a una base dance e leggera una valanga di riferimenti culturali, senza però scadere in qualcosa di troppo cervellotico. Si potrebbe dire, semplificando parecchio, che ogni cosa è al posto giusto (e ciò vuol dire che dietro questo disco c’è stato sicuramente un lavoro enorme). Non è un caso infatti che Tatum Rush sia un artista a tutto tondo, che non si limita ad impegnare la sua vena creativa solo nella scrittura e produzione musicale. Il video di “Valentina” è un esempio perfetto del connubio fra musica e arte in generale, evoca vibrazioni da film di spionaggio anni ’70 nella cornice umida e fluida di Rio de Janeiro, in cui Tatum scherza vestito da marinaio accompagnato da maracas e percussioni caraibiche. Sbarcare sull’isola di Tatum è veramente un’esperienza incredibile.
“Villa Tatum” è la dimostrazione che è possibile proporre un album intellettualmente appagante pur non rinunciando ad inserirci dei pezzi super accattivanti, ritmici e che sparati a tutto volume ad una festa non stonerebbero di certo. E forse è questo il bello della musica di un certo livello, fatta nella maniera giusta: non sbaglia mai e accoglie i gusti di chiunque. Anche di me, che sono superficiale e non avevo mai sentito parlare di questo artista abbacinante.