– di Michela Moramarco –
L’artista e produttore poliedrico Venerus pubblica la release “Magica Musica Tour 2021”. Si tratta di una nuova interpretazione ed esecuzione dei suoi brani. Ogni traccia è stata scelta accuratamente dalle migliori performance live dell’artista, il quale si pone in maniera schietta e senza sovrastrutture davanti a un pubblico di ascoltatori sempre più attento. Noi di ExitWell abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con Venerus. Ed è andata così.
La tua musica è molto colorata, quasi onirica, e per questo molto potente. Come ho potuto dedurre, è una musica che mette in relazione la spiritualità con l’essere terrestre. Ma di certo si potrebbe dire molto altro. Iniziamo: com’è nato questo immaginario?
Credo che il mio immaginario sia nato passando molto tempo da solo [ride, ndr]. Grazie al tempo trascorso in solitudine, a interessarmi di cose varie, a fare ricerche, coltivando la mia curiosità, si è definito il mio immaginario creativo.
La tua nuova release è una vera e propria sperimentazione mistica della dimensione live. E il riarrangiare i brani non è cosa scontata. Perché hai sentito questa esigenza? Se si è trattato di un’esigenza
L’idea è sorta prevalentemente dal fatto che mi sono trovato con i miei amici a riarrangiare i brani per i live. È stato lì che ci siamo resi conto che stavamo facendo qualcosa di diverso da quanto già era stato sentito e che gli ascoltatori avrebbero potuto conoscere solo ai concerti. Quindi, avendo i mezzi per poter registrare, ci siamo resi conto che forse valeva la pena registrare quello che stavamo costruendo. La chiave di tutto è stata la forte sensazione di poter fare quello che volevamo e di non dover dipendere da nessuna struttura. E poi semplicemente abbiamo capito che tutti volevamo una traccia di quello che stava succedendo. Decisamente ci siamo sentiti molto liberi di riarrangiare, di cambiare. Si potrebbe dire che quel disco è una sorta di ritratto di quello che era il tour, in senso molto libero. Credo che al giorno d’oggi sia una cosa molto bella. Quando un artista fa un disco si tende molto a voler perfezionare il tutto. Invece registrare un live è un percorso opposto, dove si registra in piena libertà e si pubblica il risultato.
E allora la dimensione live secondo te è la più pura espressione per un artista?
Sì. Per la mia concezione, da artista, della musica assolutamente sì. Perché una dimensione live richiede necessariamente la presenza del musicista, di una sua piena partecipazione. Questo è un aspetto speciale della musica: nelle altre forme d’arte magari l’artista crea qualcosa e poi rimane solo l’opera, invece, nella musica l’artista e l’opera collaborano. E nella dimensione live questo aspetto si manifesta in modo peculiare.
In passato ho raccontato di Venerus come un cantautore inclassificabile. Non so se ci abbia mai pensato: tu ti senti inclassificabile?
Più che altro non mi piace classificarmi, e se dovessi farlo, sarebbe un procedimento difficile. Ecco, un po’ sono fuggevole, un po’ invece mi piace semplicemente sentirmi libero. Ogni volta che qualcuno o qualcosa mi avvicina ad una definizione mi sento un po’ costretto e non mi piace. Preferisco poter fare quello che voglio.
La prima volta che ho sentito parlare di Venerus era l’inizio del 2020. Un anno dopo circa, Venerus pubblica uno straordinario album d’esordio dal titolo “Magica Musica”. E poi quello stesso artista stravolge tutto nella dimensione live. Ma allora ti chiedo: quante cose sono cambiate per te da quel momento, prima del tuo esordio con “Magica Musica”?
Eh! Sono cambiate molte cose. Sia a livello personale che a livello artistico. Penso che nel mio percorso artistico ci sia stata una prima fase che includeva l’uscita di “Magica Musica” e la realizzazione del tour: nella mia testa attendevo che succedessero queste cose. Quando si è concluso il tour, mi sono accorto, tornando a casa, di essere pronto per qualcosa di nuovo. Prima di partire per il tour percepivo una forte esigenza di condividere tante cose, mentre adesso, non dico che non c’è più, bensì che è di meno rispetto alla voglia e all’esigenza di andare a fondo e di ricercare nella mia musica, di tornare un po’ nella mia dimensione un pop più interiore. Di questa nuova fase sono molto curioso. Perché, come riflettevo stamattina, mi son preso un bel po’ di tempo per il tour e per processare tutto quello che stava succedendo. Adesso invece cercherò di capire dove andrò a finire [ride ndr].
Questo lo ritengo molto giusto, piuttosto che cercare di essere iper-produttivi e perdersi lungo la strada.
Credo che sia fondamentale seguire sempre i propri ritmi e non farsi condizionare troppo dall’esterno, eccetto che dalle cose di cui si ha profondamente bisogno.
Parlando di “Magica Musica”, in questo titolo si racchiude il sentimento mistico che la musica può creare. È un titolo che non avrebbe potuto essere altrimenti. Com’è nato?
Diciamo che quando sono tornato in Italia da Londra, avevo una playlist mia personale che si chiamava Magic Music e questo, riferendosi anche a quello che dicevamo prima, era un modo per sfuggire alle definizioni. Per me la magica musica è qualcosa che ti smuove. Questa playlist raccoglieva musica di generi, periodi storici e artisti molto diversi fra loro. Così ho pensato che sarebbe stato bello chiamare il mio disco o “Musica Magica” o “Magica Musica”. Ma credo che sia quest’ultimo quello che rappresenta al meglio l’intento dell’album stesso, perché dà quell’idea di incantesimo o filastrocca. In quell’album rappresento il mio tentativo di accedere ad una dimensione altra.
Concludo. Credi che la tua musica abbia un alto grado di condivisibilità oppure che dia anche qualche possibilità di immedesimazione?
Credo di sì. Penso in generale che tutta la musica sia potenzialmente condivisibile. Ma poi dipende da vari fattori sia esterni che interni alla persona che la crea. È una cosa che o si decide a tavolino, come chi fa il pop che vuole raggiungere il maggior numero di persone possibili, ma che non implica necessariamente che sia musica condivisibile. L’altro risvolto è invece quello dove chi fa musica si fa portavoce di sensazioni umane e credo quindi che chi compie questa operazione sia naturalmente portato a essere condivisibile. Poi mi sono accorto che per assurdo le cose più personali che ho raccontato erano le stesse anche più condivise. Quindi quando si racconta qualcosa di concreto e intimo, le persone si riconoscono sempre di più.