Un disco importante secondo il nostro piccolo modo di vedere le cose. Un disco che a differenza di molti altri della nuova scena indie, cerca la sua personale dimensione senza troppi compromessi di forma e di regola per i format registrati e funzionanti nel modo di fare musica. Un disco di pop, di canzone d’autore, un disco digitale di pensieri puliti e di parole poeticamente taglienti. Ma quel che affascina è anche e soprattutto la dimensione sonora, il mix di tutte le cose, la forma che sottilmente sfugge al solito cliché. Sfugge di quel pochissimo che basta per fare una differenza che a parola non sappiamo in che altro modo spiegare. Lei è Valeria Angelotti in arte VEA che torna in scena con un disco di 9 inediti dal titolo “Sei chi non sei” prodotto da una giovane firma che è Lillo Dadone. Sottolinea le differenze e gli opposti, la verità con le maschere, il nord contro il sud, la casa contro il viaggio… e le restrizioni divengono fughe e la libertà diviene costrizione. Sono le piccole cose quotidiane che se raccontate come si deve sanno fare la differenza.
Un disco che davvero si staglia dai soliti cliché dell’indie. Avete davvero lavorato bene in tal senso. Cosa volevate cercare?
La verità? Non avevamo nessuna metà. Ci siamo lasciati condurre dalle canzoni stesse, dalle idee nate un verso alla volta e alla fine, magicamente, tutti i brani hanno composto un puzzle di suoni ed emozioni molto uniformi, pur essendo molto variegati. Avere tra gli ascolti anche album completamente lontani dall’indie italiano ha sicuramente fatto la sua parte.
Senti di averlo raggiunto?
Sono soddisfatta al 100% proprio perché non avevo aspettative, se non quella di concedermi totale libertà.
L’America prima ancora che l’Italia… “Sei chi non sei” suona davvero internazionale anche e soprattutto sulla voce a cui è stata dedicata un’attenzione speciale, vero?
Si, verissimo! Sono felice che in molti riconoscano un sound internazionale. Effettivamente non posso dire di essere figlia del cantautorato italiano. Oltre ad essere cresciuta a pane e Battisti, ho sempre ascoltato molto rhythm’n’blues, jazz , ho consumato cassette e poi cd di punk..grunge…il primo disco di cui mi sono innamorata follemente da bambina è “Jagged Little Pill” di Alanise Morissette…e adesso adoro Brittany Howard e Wallis Bird, insomma “io non mi sento italiana, ma per fortuna e purtroppo lo sono”
E in più punti ho sentito contaminazioni quasi “brasiliane” se mi posso avventurare con certe etichette…
Ho frequentato la scuola Civica jazz di Milano e lì il mio cervello si è aperto in due. Ho imparato ad amare tante sfaccettature dell’espressività musicale , senza pormi limiti, soprattutto da un punto di vista ritmico. Credo sia questa la vera contaminazione!
E non mi è sembrato che la pandemia c’entrasse poi molto questa volta… ormai sembra sia divenuta il centro di tutto…
No per niente! Non ne ho ancora parlato, perché credo che non sia ancora il momento giusto. Non ho ancora le parole per raccontarlo e forse mai le avrò. Sicuramente è un album malinconico, che arriva in un momento in cui un po’ tutti lo siamo, ma credo che abbia al suo interno anche molta energia e spero che sia capace di donarla a chiunque capiti di ascoltarlo!