Album come Fuccboi dei Vangarella Country Club, suscitano in me delle emozioni sempre contrastanti: da un lato l’appagamento di quei sentimenti vagamente nichilisti del mio io sedicenne, dall’altro la delusione nel constatare come questo genere di musica sia ancora il solo modo per dare sfogo alle pulsioni post puberali. È proprio lì il limite più evidente del loro primo lavoro discografico: non si sente nulla di nuovo. Un pastiche di indie dallo stampo fin troppo “canino” (un attimo di distrazione e sarete certi di ascoltare la voce di Contessa) e synth pop che di alternativo ha ben poco. La sezione strumentale mostra qualche spunto degno di nota (in “N.U.Y.” l’assolo di sassofono ha il pregio di alzare la soglia dell’attenzione), ma si ritrova spesso azzerata nel generale piattume sonoro delle otto tracce. La lirica è portata avanti da generiche descrizioni della sfera emotiva giovanile inframezzate da situazioni stereotipate che sparano nel marasma delle attività da neo ventenni: prima o poi ci azzeccheranno e qualcuno si sentirà rappresentato. Nel 2011 avrebbero sbancato.
Edoardo Biocco