– di Assunta Urbano –
Il suono, il ritmo della città
Abbiamo incontrato Max Casacci, chitarrista e cofondatore dei Subsonica lo scorso luglio. Nel caldo estivo, ne è nata un’intervista con l’artista poco prima della sua esibizione per la tappa romana a Parco Schuster del tour di “Earthphonia”. Per presentare l’album nato dai suoni della natura, il musicista ha collaborato ed è salito sul palco con il geologo Mario Tozzi.
Oggi, 25 novembre, esce in digitale e in vinile per 35mm, sezione cinematografica/sperimentale di 42 Records, “Urban Groovescapes”, il nuovo ambizioso progetto del torinese che ha come oggetto la città e le sue trasformazioni. Casacci torna a sorprendere i suoi ascoltatori con un lavoro realizzato senza strumenti musicali. Una vera e propria collezione di brani, in cui si mescolano ambienti stradali, la voce della diva del cinema Monica Bellucci e i rumori quotidiani. Un invito a guardare il mondo che ci circonda con occhi diversi.
I brani saranno presentati dal vivo domenica 27 novembre al MONK, a Roma, in un evento speciale, in cui si uniscono calcio e musica.
Per far comprendere al meglio questo disco abbiamo chiesto al suo “genitore” cinque aspetti, tra elementi fisici o immagini astratte. Ne è scaturita una sorta di guida, a cura del compositore e produttore, la cui ricerca musicale si conferma inarrestabile.
UN OGGETTO IMPRESCINDIBILE PER LE REGISTRAZIONI
Per quanto sia un’ovvietà, durante le registrazioni di “Urban Groovescapes”, non ho potuto fare a meno del registratore portatile digitale.
Immaginiamo di trovarci su un circuito di MotoGP di Misano, in un deposito di tram, in un bosco di una città in montagna oppure al cospetto di una diva come Monica Bellucci, come è successo davvero. Credo sia stato possibile lavorare grazie all’agilità tecnologica di questi strumenti.
C’è anche un oggetto del cuore, sempre un registratore portatile, ma di quelli analogici. Mi è molto caro perché apparteneva a mio padre, che si occupava di cinema e faceva il fonico cinematografico in alcuni casi. Ho voluto utilizzarlo soprattutto negli scenari più dinamici, perché il nastro contiene bene quel tipo di suono e ne restituisce un’immagine sonora esplosiva. Con il digitale si perde questo aspetto.
UNO STATO D’ANIMO INCONTRATO INASPETTATAMENTE LAVORANDO ALLA COMPOSIZIONE
Non so se possiamo considerare la spavalderia uno stato d’animo. Sicuramente per uno timido come me, essere in una situazione in cui sono io a rassicurare gli altri sulla certezza di un risultato nel passaggio di rumori in scrittura musicale, quando non sai da dove cominciare, è piuttosto singolare.
È stato un aspetto costante nella stesura di tutte le tracce. Mi sono trovato davanti a un campione olimpionico della bicicletta, come Marco Aurelio Fontana, con il garantirgli che il suo “strumento” avrebbe preso la forma jazz. Simile anche l’incontro con Monica Bellucci, quando abbiamo cercato di tirare fuori dalla sua voce una cassa e un rullante, senza sapere come sarebbe venuto poi un brano. Questo vuol dire dare il via a un processo creativo, che cambia in base alla persona che hai di fronte. Inizi solo dopo a capire le coordinate della storia sonora che stai per raccontare.
Di certo, devi apparire molto sicuro di te stesso, anche se non lo sei, per riuscire ad avere una relazione proficua dal punto di vista della resa della registrazione. Ognuno di questi pezzi ha rappresentato una piccola avventura.
UN PROGETTO MUSICALE O ARTISTICO/UNA SUGGESTIONE CHE HA ACCOMPAGNATO LA REALIZZAZIONE
Ci sono sicuramente alcuni testi o libri, come Il paesaggio sonoro di Raymond Murray Schafer oppure le interviste a John Cage, che sono serviti a dare coraggio. Quando intraprendi un percorso, che parte dal fatto di non sapere dove stai andando, devi mettere in conto anche di perderti ogni tanto. La solidità dei miti serve proprio a non farti dimenticare alcuni punti di riferimento.
Rispetto a chi solitamente ricerca nell’ambito del rumore, del paesaggio sonoro, “Urban Groovescapes” va proprio da un’altra parte. È musica più strutturata, anche in termini di melodia, armonia, riff. È soprattutto da pronunciare in chiave dance.
Farei fatica a trovare un album specifico di riferimento. Sarei più a mio agio ad associarlo a un festival di musica elettronica d’avanguardia, con un pensiero. Si tiene ogni anno nella mia città e si chiama C2C (Club To Club) e lì si balla in una dimensione che sento vicina a me e al mio nuovo lavoro.
UN LUOGO IDEALE IN CUI ASCOLTARLO
“Urban Groovescapes”, ovvero la trasformazione dello spazio urbano senza strumenti musicali in musica, e cioè in armonia, melodia e ritmo, ha come scenario di predilezione la città. Magari uno lo ascolta in cuffia mentre è sui mezzi o per strada, per esempio.
Meno ovvia potrebbe essere la motivazione che è anche un po’ la filosofia che attraversa questo lavoro, almeno nelle intenzioni. Il disco è un tentativo di stimolare l’estrazione di elementi straordinari dal quotidiano. Le città sono luoghi straordinari: la concentrazione altissima di vite, di storie, di relazioni potenziali, le tecnologie, le cose che ci girano intorno e che noi in qualche modo tendiamo a vedere uguali. Anche i suoni, che hanno a che fare con la nostra identità, perché ci cullano da quando siamo bambini, quasi non li sentiamo più.
Sarebbe bello se “Urban Groovescapes” riuscisse a rivelare un po’ questa sua intenzione di manifestare l’incredibile, di fare leggere l’ambiente quotidiano, quello che ci sembra uguale a se stesso ogni giorno, che ci circonda ogni giorno, in tutta la sua potenziale straordinarietà.
UN RICORDO DEL PASSATO EVOCATO
I suoni di città, perché di questo è fatto l’album, che più mi connettono col passato, sono quelli del tram.
Ce n’è in particolar modo uno: una sorta di arpeggio di respiri di sfiati meccanici, che appartiene a tram di vecchia generazione, che mi porta immediatamente mano nella mano al parco con mia madre mentre alla fermata aspettiamo un tram. E nel naso sento subito l’aroma, il profumo, l’odore delle foglie di ippocastano, un odore quasi abbrustolito dalle ruote del tram che schiacciano queste foglie sulle rotaie.
Tutto questo mi fa riflettere su quanti siano i suoni, soprattutto tecnologici, meccanici che, inevitabilmente, si perdono con l’evoluzione della tecnologia, e quanto forse possa essere importante, anche attraverso la composizione musicale, trattenere questi rumori. Sono rumori della nostra storia, della nostra identità, e tento di regalare loro una piccola forma di eternità.