Dopo Una, nessuna e centomila, Marzia Stano, in arte UNA, si rimette in gioco mantenendo la stessa graffiante e ironica vena artistica che ha caratterizzato e caratterizza la sua attività musicale. Come in cielo così in Terra è il suo secondo disco, uscito nel settembre 2014, edito da MArteLabel e pubblicato grazie al sostegno di Puglia Sounds Records.
La cantautrice dalle origini pugliesi parla del suo ultimo lavoro presentandolo “quasi fosse un libro di racconti alla J. D. Salinger o R. Carver”. Undici tracce come undici sono protagonisti delle avventure che racconta, in musica. Brano dopo brano, si snodano vicende in cui tutti noi possiamo, in parte, immedesimarci: dal lavoro precario, storie nate sotto le lenzuola o tra i corridoi di scuola, alla ricerca di una meta, intesa come scoperta di noi stessi. Nati da spunti introspettivi, le tracks di Come in Cielo così in Terra colgono, alla base, la necessità di fotografare brevi ed effimeri atti delle vite che ruotano intorno a sé.
“Fuori sede” ne è l’esempio: brano in cui UNA narra estratti di vita universitaria, autobiografici, considerando che la giovane cantante ha frequentato il Dams e l’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Ma Come In Cielo Così In Terra è anche un disco basato sull’esaltazione dei contrari, come corpo ed anima, tristezza e felicità: con toni diretti e a volte sarcastici, UNA canta vicende celate da un’ironia pungente.
La giovane cantautrice, nel suo, disco racconta di personaggi reali celati sotto falso nome; come il protagonista di “Mario io ti amo”, quarantenne che, dopo aver abbandonato il lavoro in banca, spinto da una forte esigenza di evadere, decide di viaggiare e scopre di essere innamorato di un suo compagno di liceo che aveva rifiutato molti anni prima. Mario è la personificazione degli omosessuali non dichiarati, considerati come i primi ad essere omofobi, quelli che si nascondono dietro a maschere imposte dalla società, con la paura di essere giudicati come non si vorrebbe. È un brano di amore verso l’amore, nonché di libertà ai limiti dell’estremo.
“Ci vedemmo alle nove, in stazione; volevamo andare via, non importava dove. […] Noi ci sentivamo vivi, mentre Taranto bruciava, noi ci sentivamo vivi, tenendoci le mani” – così UNA canta la storia di due adolescenti che decidono di partire, lasciare la terra in cui sono nati e cresciuti. È Taranto, realtà cittadina che sempre di più soffre per la marcata presenza di una tra le più grandi industrie siderurgiche presenti in Europa, ad essere invocata in “Sotto il cielo dell’Ilva”.
Il lavoro di UNA è basato sulla variazione di melodie che, a seconda dei contesti tematici, vengono declinate in generi diversi per non banalizzare mai le storie che prendono e riprendono vita attraverso la musica. Si spazia, così, tra il sottile reggae di “Professoressa” e il rock di “#Antiselfie” , i toni dall’eco pop e blues di “#Scopamici”, le dolci note di “Camilla e Matteo” e le marcate venature pop e la musica più leggera di “Giornata complicata”. Senza disincanto, attraverso ritmi rock folk si pone in ottica di una fervente resistenza il brano “Il paese che canta”, che ha come co-autore Lorenzo Kruger dei Nobraino.
La voglia e la speranza di cambiamento del futuro vengono affidati alla cultura, in ogni sua forma, ed in questo caso UNA sceglie la musica, come strumento di rivoluzione: canta le sue idee e i suoi ideali, senza lustrini e giri di parole, annullando ogni qualsiasi forma di retorica.
UNA esorta, pertanto, ad ammettere le conseguenze delle nostre scelte, ad accettarci e ad accettare, non passivamente, le vicende che plasmano la quotidianità.
Lucia Santarelli