Chi ha detto che la gente non va più a vedere i concerti non si è accorto di questa nuova tendenza al termine “sold out”. È diventata quasi una moda, ché se fai quindici persone all’alimentari sotto casa appendi fuori un cartellone 6×3 e ci fai social una settimana.
E allora, come i trenta (anni) sono i nuovi venti, i quaranta i nuovi trenta, il “doppio sold out” è il nuovo sold out, quindi per la proprietà transitiva (ne ho palesemente nominata una a caso) potremmo quasi dire che Francesco Motta ha fatto sold out, a Roma, a vent’anni.
Ma veniamo a noi, perché un anno fa usciva quello unanimamente considerato da critica e pubblico come l’album dell’anno: La fine dei vent’anni, primo a nome Francesco Motta (“disco d’esordio un cazzo” – ci tiene a precisare il cantautore toscano dal palco – “sono anni che giro l’Italia mangiando Camogli”).
In un anno la carriera di Francesco Motta ha visto un salto notevole, un tour lunghissimo, il premio Tenco, un successo strameritato che lo porta oggi a godersi, da artista di conclamato livello, l’abbraccio affettuoso della città che lo ha adottato.
Un concerto di Motta a Roma diventa inevitabilmente una festa fra amici, amici anche in apertura stavolta, con i Campos, trio electro-pop di Simone Bettin (sempre di casa Woodworm), che tanti chilometri di autostrada e sudore sul palco ha condiviso con Francesco nei Criminal Jokers: una piacevolissima scoperta che non mancheremo certo di approfondire.
Parliamoci chiaro, in un mondo in cui la stragrande maggioranza degli artisti si limitano a eseguire i brani così come sono stati incisi, Francesco Motta è un specie di piccolo miracolo. Intro e intermezzi strumentali arricchiscono con energia i già ottimi pezzi, interpretati da quella super band che vede Cesare Petulicchio dietro le pelli, Federico Camici al basso, Giorgio Maria Condemi alla chitarra e Leonardo Milani alle tastiere, più due guest d’eccezione, Riccardo Sinigallia e un’emozionante breve reunion Criminal Jokers con il succitato Simone Bettin.
Il resto è una serata come nel salotto di casa, a cantare le canzoni che abbiamo imparato ad amare durante quest’anno di Motta, ma in settecento e con cinque ragazzi che ti demoliscono i timpani di rock.
Francesco Galassi