– di Giacomo Daneluzzo –
C’è una massima di Epicuro, una delle più celebri del filosofo greco, che recita: “Vivi nascostamente”. Tutti Fenomeni, all’anagrafe Giorgio Guarascio, in modo molto epicureo ha scelto di adottare non uno ma almeno tre pseudonimi per iniziare la sua carriera (da Giorgio Quarzo, a Skamarcho, a Tutti Fenomeni), seguendo le orme del mentore Niccolò Contessa, o I Cani, che dal 2016 conduce una vita lontana dai riflettori, come produttore di Coez e altri artisti. Proprio Niccolò Contessa, sentendo le canzoni post-trap di Tutti Fenomeni su YouTube, ha intravisto qualcosa in questo giovane artista originario del quartiere romano Gianicolese (per i romani Monteverde), l’ha invitato nel suo studio e gli ha proposto di fare un album insieme.
Il frutto di questa collaborazione, che vede Contessa come produttore e Tutti Fenomeni come autore dei testi e coautore delle musiche, è uscito il 17 gennaio 2020 per 42 Records (l’etichetta de I Cani) e Sony Music. Si tratta di una perla futurista chiamata Merce Funebre, in onore di Chopin, artista molto amato da Tutti Fenomeni. In poco meno di trentacinque minuti Tutti Fenomeni condensa la sua poetica e il suo amore per la cultura, tra citazioni più e meno dotte (che convivono tra loro senza alcun problema), collage di immagini astratte e concrete, provocazioni e uscite spiazzanti. Una manifestazione d’amore molto lontana dallo pseudo-intellettualismo tipico di alcuni testi indie, che trova nella storia, nella letteratura, nella filosofia e nella musica classica la sua espressione più sincera; il tutto reso in modo estremamente efficace grazie a uno stile di scrittura nuovo, diretto, libero e intrigante, per quanto estremamente ermetico.
Viene lasciato un notevole spazio alla musica (ormai molto distante dalle sonorità trap degli esordi e più spostata, piuttosto, nell’ambito di un pop sperimentale e barocco), con un’opening track inaspettatamente del tutto strumentale, Marcia funebre, una rielaborazione del terzo movimento della Sonata n. 2 op. 35 in si bemolle minore di Chopin (detta, appunto, Marcia funebre), e lunghi intermezzi musicali sparsi per tutto il disco; le citazioni “musicali” sono parecchie e vanno dal già citato Chopin ai Depeche Mode, da Mozart ai Talking Heads, passando per la Dark Polo Gang.
Nonostante il telaio musicale sia incredibilmente raffinato e dettagliato, senza dubbio grazie al tocco più che riconoscibile del Niccolò Contessa “post-Aurora”, è evidente che il cuore di Merce Funebre risieda nei testi; il vero “spartiacque” proposto da Tutti Fenomeni sta infatti in una scrittura che recupera un certo filone ermetista (con ogni probabilità non è un caso che la copertina di Merce Funebre ritragga un agnello, come quell’ermeticissimo album di De Gregori del 1974) e lo trasforma in un nuovo modo di comunicare, oscillante tra un linguaggio contemporaneo e il costante appoggio a immagini e riferimenti culturali “classici”.
Uno dei temi centrali di Merce Funebre è la critica a una società che svilisce il suo patrimonio culturale; Tutti Fenomeni sembra avere uno sguardo rispettoso e nostalgico nei confronti dei “vecchi poeti” e della letteratura, dell’arte e della musica del passato. Ma non si può neanche liquidarlo come laudator temporis actis che piange perché il presente fa schifo, perché in questo presente, in realtà, Tutti Fenomeni è ben radicato; ne è un attento (e ironico) osservatore e ha le idee molto chiare su come muoversi. Il passato, o meglio un passato ideale ed elegante, diventa la base estetica dell’immaginario che crea Tutti Fenomeni nei suoi pezzi, citando nello stesso testo l’affascinante criminale Diabolik, celebre protagonista dell’omonimo fumetto noir creato dalle sorelle Giussani nel ‘62, e Cornelia Metella, moglie di Pompeo (quest’ultima probabilmente mutuata dall’opera lirica Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel, in cui ha un ruolo di rilievo).
Merce Funebre porta all’ascoltatore il personale ed eccentrico immaginario di Giorgio Guarascio, fatto di collegamenti fluidi tra immagini e concetti, ironia, metalinguistica e parole considerate per il loro suono prima che per il loro significato. Questo immaginario, per quanto ermetico e poco definito possa essere, arriva all’ascoltatore con un’intensità dirompente e probabilmente è questo a rendere i testi di Tutti Fenomeni innovativi; non si tratta di pura decostruzione del linguaggio alla Pop X, ma di un uso sapiente e consapevole della parola indirizzato verso l’espressione. Un messaggio c’è; il fatto che a volte non sia di comprensione immediata non fa che renderne più interessante la ricerca.
Emerge l’intento – anche se non è del tutto chiaro quanto sia ironico – di porsi come “spartiacque” tra l’ante e il post Tutti Fenomeni, attraverso un album che sia allo stesso tempo un corteo funebre in onore di un passato ideale, ormai defunto, e una spinta propulsiva al creare qualcosa di nuovo sulle sue ceneri. Non saprei dire se effettivamente questo disco e il suo autore si possano definire dei veri e propri “spartiacque”, ma quel che è certo è che si tratta di una boccata d’aria fresca per la musica italiana, sia musicalmente che per quanto riguarda i testi.