– di Naomi Roccamo –
Per Bingo di Margherita Vicario ho atteso la mezzanotte allo spaccare del minuto; l’ho fatto in compagnia, aspettandolo come se si trattasse di una festa, un capodanno, un carnevale. Quello che volevo e che mi aspettavo era una compagnia piena di conforto, qualcosa che gridasse al posto mio dove fossi, quanto fossi arrabbiata o in pace col mondo e mi ci facesse ballare su, in un modo o nell’altro.
Corre veloce
Gira la terra, tu alza la testa, anzi alza la voce
Grida più forte, chiedimi aiuto se il mondo è feroce
Stammi vicino, fammi sentire quanto sei felice
Se poi riesci piano piano a fare bingo
Ci si aspetta già dall’intro di fare “Bingo”, è lì che le esplode tutto, che le speranze ti travolgono e ti fanno credere che è possibile, se ci credi davvero. E invece.
Superati il delirio frenetico di “Orango Tango”, uno dei singoli estratti qualche mese fa che tanto mi ha fatta saltare e cantare quando c’è riuscito (e negli ultimi tempi è veramente difficile) si entra nel vero mood da luci spente del Bingo. O meglio, si affievoliscono i colori delle caselle numerate per addentrarsi in qualcosa di più profondo.
“Come va”, la terza traccia, è lì ad attenderci per confermarci ciò e viene scritta in quaranta minuti, come ci confideranno durante la conferenza stampa Margherita e Dade (Davide Pavanello) , il suo producer e regista, (le piace definirlo così); è forse la più bella dell’album, di sicuro per me la più personale.
La ascolto mentre parla e non c’è spazio per i tecnicismi. Non c’è assolutamente nulla che tradisca la vera natura di tutte le parole che compongono Bingo, niente che ne sminuisca il valore o l’autenticità: la genuinità traspare in maniera necessaria, come se i testi fossero la conseguenza di qualcosa che esiste fortemente e non può che venire fuori così.
Ci parla della musica francese che ascolta, dei social che sono irriverenti quanto pesanti, di quanto la politica sia diventata pop, di quanto si parli dei soldi perché la nostra generazione, deve rassegnarsi, di soldi non ne vedrà mai, o comunque questo è ciò che ci dicono. Sembra disinteressata, teneramente inopportuna e un po’goffa, ma è sfacciatamente vera.
E infatti quando tocca a Dade parlare dell’esperienza vissuta insieme non sembra esserci molta differenza fra la descrizione del disco e quella di chi lo ha creato: il loro rapporto è potente, una sorta di brainstorming emozionale e artistico e che Bingo sia un figlio fortemente desiderato si vede, si sente, perché è coraggioso e se ne frega, non è mai banale, anche quando prova ad esserlo.
Lei si arrampica come un’elica
Se non la ascolto poi lei si vendica
Io la chiamo voce e tu anima
Ma è solamente una questione di DNA
(“DNA”, settima traccia di Bingo)
Bingo è eclettico, caleidoscopico ed estremamente femminile, prima di essere femminista. Contiene tutti i tormenti interiori, le domande lecite della mente che arriva in posti meravigliosi, a volte, e quando non ci arriva va perdonata.
Ci sono mille modi per raccontare delle storie e raccontarsi, creare un immaginario è uno di questi. Ogni traccia è scritta da lei ed è scritta solo dopo aver pensato a come inscenarla, pensando prima al videoclip e solo dopo a cosa metterci dentro. Si tratta pur sempre di una (ex) attrice che si muove nel suo personalissimo teatro postumo pieno di canzoni, della protagonista di un musical.
La tenerezza di “Pincio”, la trasgressione di “Giubbottino” o “Mandela”, la “Piña Colada”, o la favola che è “Romeo” ci avevano già preparati alla caduta di ogni luogo comunque, e anche nelle sei nuove tracce non resiste alcun clichè: in “Troppi Preti Troppe Suore”, tutta nuova, un coro di bambini denuncia una presenza fin troppo presente in quello che dovrebbe essere uno stato laico. Della pillola del giorno dopo potremmo averne bisogno tutte, il fatto che non siamo una minoranza ma siamo, anzi, tante e sempre più stanche e agguerrite e il fatto che il nostro corpo è ancora considerato un oggetto sono tutti fatti, appunto, e non meritano certo di finire nella categoria del “e tu che pensi a riguardo?”.
Nessuno vuole più quegli schemi culturali, nessuno vuole più affidarsi alle opinioni da dare sempre e comunque, ai pregiudizi. La Margherita che parla e che canta vuole tutto quello che vogliamo anche noi, vuole sentirsi amata e pretende di essere capita, vuole gridare al mondo che si sente bellissima ma ha anche bisogno di sentirselo dire, è debole ma spaventosamente in grado di essere invincibile.
Se questo può farci sentire meno soli non lo so. Ma si tratta di sicuro di qualcosa che è come me, come te, “Come noi”.