– di Martina Zaralli –
Mario Venuti ama le tinte dei tropici e lo sappiamo bene. Un amore, il suo, dichiarato sin da “Fortuna”, il singolo dell’esordio solista del 1994. “Tropitalia”, però, oltre a valicare i confini geografici, unendo Italia e Brasile, suona come una passeggiata nel tempo, decorando così di nuova bellezza canzoni che hanno segnato la musica italiana.
Nel suo ultimo lavoro, il cantautore siciliano raccoglie la rilettura di undici brani che dagli anni trenta ai primi anni duemila hanno dipinto l’anima leggera del nostro Paese: da “Ma che freddo fa” a “Una carezza in un pugno”, da “Figli delle stelle” a “Il cuore è uno zingaro”, da “Quella carezza della sera” a “Vivere”, passando per “XDono”, “Non ho l’età (per amarti)”, “Voar (nel Blu dipinto di Blu)” e “Vita”.
Anticipato dalle cover di due canzoni portate al successo rispettivamente da Nada nel 1969 e da Tiziano Ferro nel 2001, “Tropitalia” aggiunge dal 17 settembre scorso un altro interessante tassello nella discografia di Mario Venuti.
“Tropitalia”: come è nata l’idea di un disco di cover?
È nata nel marzo 2020, durante il primo lockdown. Per passare il tempo, mi divertivo a cantare brani del passato, del repertorio di Canzonissima. Mi divertivo a riscrivere gli accordi delle canzoni, facendole così sempre più mie, adattandole alla mia vocalità. Poi, piano piano, gli accordi si sono aperti verso alterazioni tipiche della musica brasiliana, con un’armonia più vicina al jazz. E così mi è venuta l’idea di fare un disco di canzoni italiane molto conosciute dando però loro un nuovo vestito. Per questa operazione, ho trovato un complice perfetto, Tony Canto, che ho subito contattato quando l’idea ha iniziato a prendere corpo: ci conosciamo da moltissimo tempo e, come me, è un grande appassionato di musica brasiliana. Abbiamo lavorato insieme nella scelta delle canzoni, nel riarrangiamento, discutendo le bozze della nuova veste dei brani.
Come hai selezionato le canzoni da reinterpretare? C’è stato un criterio guida particolare?
Il tutto è stato guidato solo dall’istinto. La scelta è caduta sulle canzoni di musica leggera, evitando cioè un repertorio più autorale tipo quello di Fossati o De André, per intenderci. L’obiettivo è stato quello di dare una lettura diversa ad alcuni brani, togliendo loro il peso del tempo e mostrarli sotto una rinnovata bellezza.
Quanto tempo ci vuole per rileggere canzoni che hanno segnato un’epoca?
Se scatta l’idea è tutto molto semplice. Ma dipende: per alcune canzoni, il gioco non riusciva, quindi si lasciava perdere. Ad esempio, per “Maledetta Primavera” avevo difficoltà a staccarmi dalla versione originale, ma Tony Canto ha avuto l’idea geniale di trasformarla in un valzer, a cui abbiamo abbinato un cantato tranquillo, senza tonalità alte, e indirizzato verso lo stile tipico della bossa nova, cioè più intimo ed essenziale.
C’è una canzone che senti più tua tra quelle che compongono il disco?
Alcune canzoni sono state davvero una riscoperta, tipo “Quella carezza della sera”. Ricordavo il brano, ma non mi ero mai soffermato sul testo, che fa rivivere dentro un ricordo un rapporto tra padre e figlio. Ho trovato commuovente la tenerezza con cui viene raccontata l’assenza del papà.
Dal punto visto emotivo, c’è stato un timore nell’approcciarsi alla rilettura dei classici?
No, perché ho voluto rispettare le melodie originali già cristallizzate nel tempo. Ho agito su altri aspetti, sul modo di porgere la canzoni.
Se dovessi pensare “Tropitalia” tra una decina di anni che canzone inseriresti in rappresentanza del 2021?
Non saprei perché “Tropitalia” è stato un disco frutto del momento, ma senza limiti. Probabilmente anche se dovessi rifarlo oggi cambierei qualcosa. “Tropitalia” non ha dei confini temporali precisi, tipo i brani di una particolare decennio. Sono sicuro però che guardandomi indietro, tra una decina di anni, ci saranno canzoni che vorrei cantare.
“Tropitalia” si affaccia su una finestra temporale che va dagli trenta ai primi anni duemila…
È una parte del racconto della musica leggera italiana. Ma è anche un racconto dello spirito degli italiani. È bello vedere come l’abbraccio tra il nostro spirito e la musica brasiliana avvenga poi in modo davvero naturale. I due Paesi hanno molto in comune, sono entrambi latini: per molti aspetti facciamo riferimento ai paesi anglosassoni, ma abbiamo più cose in comune con il Brasile che con il Nord America. C’è comunque qualcosa in più che ci unisce: i brasiliani conoscono benissimo le nostre canzoni, conoscono benissimo Gigliola Cinquetti, Rita Pavone, Domenico Modugno.
Ci sarà anche un tour?
Abbiamo già fatto una decina di concerti quest’estate, portando in tour uno spettacolo in cui abbiamo testato le nuove canzoni, ma anche brani del mio vecchio repertorio riadattati per l’occasione e resi più brasiliani. Continueremo a proporre lo spettacolo fino alle fine della prossima estate, poi magari penserò anche a un disco di inediti.
Un disco di inediti è un’anticipazione…
Ho un’idea del disco che vorrei fare ma le canzoni ancora non ci sono. Alcuni pensano, un po’ maliziosamente, che quando fai un album di cover non hai nulla da dire, che sei in una fase di crisi creativa. Ma non è così: volevo fare “Tropitalia” da tanto tempo, e poi è arrivato il momento, ma è arrivata anche l’idea di un progetto molto preciso, che ho voluto racchiudere in una stretta di mano tra Italia e Brasile.