– di Riccardo Magni.
foto TARM di Magliocchetti –
I Tre Allegri Ragazzi Morti li conosciamo tutti, o almeno dovremmo: 25 anni di attività come band non sono certo uno scherzo e loro, che li hanno percorsi interamente con la stessa attitudine, passando per essere prima indipendenti, poi alternativi, poi indie, a secondo della parola in voga al momento, in realtà sono sempre stati semplicemente loro: un incontro di artisti uguali e diversi, che con i loro gusti e la loro voglia innovatrice hanno dato una spinta costante e fondamentale a quella musica italiana “indipendente, alternativa, indie…”. Ogni album una scoperta, ogni volta un oceano di ispirazioni e riferimenti diversi da scoprire o riscoprire, ogni disco un’occasione di crescita per chi ha voluto e saputo coglierla. Ma non si sono limitati a questo, perché con l’etichetta da loro fondata oramai 19 anni fa, La Tempesta Dischi, a quella musica italiana “indipendente, alternativa, indie…” hanno dato voce e spazio, accogliendo anche i progetti più arditi e sperimentali che avrebbero trovato tante difficoltà altrove. Creata per pubblicare i dischi dei TARM, nel 2004 sotto l’insistenza di Giorgio Canali che vuole uscire con loro inizia a pubblicare altri artisti. Lui sarà il primo, seguiranno Il Teatro degli Orrori, Le Luci della Centrale Elettrica, Moltheni (poi Umberto Maria Giardini), Zen Circus, Fine Before You Came, Pan del Diavolo, Massimo Volume e chi più ne ha più ne metta. Gli artisti in poco tempo diventarono così tanti e così importanti nel panorama indie che il passo successivo e più naturale fu metterli tutti insieme in una grande festa. Così 2005 nasce La Notte della Tempesta con la sua prima storica edizione, in settembre in quel di Zanè, nei pressi di Vicenza. Da lì in avanti l’evento è stato itinerante e sempre più seguito ed apprezzato, e a quella estiva si è aggiunta una edizione invernale.
Edizione invernale che domani arriva a Roma, a Largo venue, all’interno della kermesse della Biennale di MArteLive ’19 (in corso dal 3 al 14 dicembre con eventi diffusi in tutta la città di Roma e non solo).
Per l’occasione, abbiamo parlato dei 25 anni di carriera dei Tre Allegri Ragazzi Morti e della grande serata La Tempesta su Marte con il frontman della band Davide Toffolo.
Festeggiate i 25 anni di attività con un disco, “Sindacato dei Sogni”, che si è detto ricordi come sonorità le vostre origini. È stato però particolare nella gestazione, finito di scrivere e registrato in questo studio ai bordi del bosco del Montello in Veneto, in cui vi siete completamente immersi in atmosfere totalizzanti.
Quanto il mood e le sonorità del disco erano già progettate dall’inizio e quanto invece l’ambiente vi ha ispirato?
Questo studio, che si chiama Outside Inside, ha un suo sound. Avevamo deciso apriori di farlo con un produttore, Matt Bordin, che è anche un chitarrista bravissimo. Quindi la direzione del disco era abbastanza decisa, poi chiaramente non c’è stata una grossa pre-produzione per questo album, lo abbiamo fatto lì, e quello che volevamo era riproporre un po’ quello che succedeva nei primi dischi, cioè che l’incontro tra me, Enrico e Luca, fosse l’elemento centrale rispetto alla progettazione del sound e così è stato. Perciò è un disco che almeno in quella dimensione ha qualcosa a che fare con le nostre origini, poi in realtà quello che c’è dentro, la musica a cui ci siamo ispirati, c’entra relativamente poco con quella che era la nostra all’inizio, perché ha una direzione più psichedelica. Però sicuramente possiamo dire che sia un disco rock, questo si.
Ecco, la psichedelia. Anche il titolo dell’album è la traduzione del nome di una band, The Dream Syndicate, gruppo californiano formato nel 1981 da Steve Wynn, massimo esponente del movimento musicale Paisley Underground.
È particolarmente importante per voi, per la vostra formazione musicale personale, quel periodo?
Parli della droga (ride, ndc)?
Beh no, degli ascolti, ma volendo…
Da una parte, noi siamo un gruppo fatto di tre persone che hanno età diverse ed anche ascolti diversi. Questo disco in particolare lo ha condotto Enrico che è il più giovane di noi e se vogliamo anche il più romantico negli ascolti, e il più psichedelico. Quindi se c’è una direzione specifica nel disco, sono i suoi ascolti, contaminati sicuramente da alcuni miei piaceri ultimi, che sono invece legati a un certo tipo di krautrock, minimale e ripetitivo più che psichedelico. Ma Enrico e Matt si sono trovati nel voler riprodurre alcune cose fatte dai Grateful Dead ad esempio, espressioni chitarristiche di quel periodo lì. Se c’è una responsabilità – ride – è la sua.
Come sempre quindi, anche in questo vostro ultimo disco c’è un mondo dietro da scoprire e comprendere. Ma nel disco cantate Mi capirai (solo da morto).
Vi sentite, nonostante i tanti fan e i tanti anni di attività, ancora poco capiti? E da chi?
È interessante, c’è un po’ di ironia nel testo di quel brano, perché si dice ogni tanto “ci capirete da morti” quando si sente di non essere capiti completamente. Ma noi invece abbiamo avuto la fortuna di essere stati abbastanza capiti, o meglio di aver trovato delle persone che hanno la voglia di giocare con noi. Quindi diciamo che il testo di per se ha qualcosa di ironico dentro e forse non parla neanche davvero di noi in modo completo. Devo dirti che come sempre però, la comprensione reale di quello che scrivo nei testi arriva sempre un po’ più tardi, qualche anno dopo che li ho fatti. Questo disco è ancora abbastanza recente quindi non so dirti precisamente cosa ho scritto veramente in queste canzoni – ride ancora – ma posso dirti che la cosa che mi interessa di più negli ultimi anni è la musicalità delle parole, non tanto il senso. Poi ho capito che alla fine il senso delle canzoni non è così univoco e non è neanche così facile da spiegare, ci ho scritto anche una canzone appositamente (Di che cosa parla veramente una canzone? ndc). Ora non vorrei sembrare un fricchettone anni ’70 perché non lo sono, ma mi piace una certa sensazione astratta nei brani, forse anche perché la musica italiana in questo periodo va verso un racconto della quotidianità, e a me quel tipo di racconto lì in questo momento interessa praticamente zero. Quindi la costruzione dei testi va in una direzione più evocativa e meno realistica.
Piccola digressione in tema musicalità delle parole e racconto nei testi: per paradosso, di fronte a testi che vorrebbero avere un senso ma ne hanno poco, mi trovo a volte a sognare canzoni in una lingua che non esiste, in cui non devi capire alcun senso ma solo ascoltare le sensazioni che ti danno i suoni, compreso quello delle voci. A questo credo sia legata la difficoltà che in Italia incontra chi vuole cantare in inglese ad esempio.
Ascoltando canzoni in lingua straniera non si ha la pretesa immediata di comprenderne le parole, si ascolta la musicalità e piacciono per quello. Con l’italiano si è per forza di cose spinti alla comprensione delle parole.
Si con l’italiano è più difficile, chiaramente resti attaccato al senso di quello che si dice. Per quanto riguarda la scrittura dei Tre Allegri Ragazzi Morti, è sempre stata una scrittura mai troppo cercata, che però in qualche modo arriva. Non c’è mai quella volontà di dimostrare quanto sei figo nella scrittura, è un’altra cosa, alcune volte le parole sono molto dirette, molto semplici, non c’è mai stata la ricerca di una lingua sofisticata ma è sempre stata molto naturale, molto orizzontale diciamo, e ultimamente va anche in questa direzione meno diretta, più evocativa. E come dicevo, in questo disco mi interessava di più la musicalità delle parole che il senso.
Anche perché tante volte bastano poche parole, poche frasi che colpiscano, e l’atmosfera della canzone, a far arrivare un messaggio o generare sensazioni…
Si, arriva comunque. Però realisticamente te lo dirò tra qualche anno che cosa ho scritto, succede sempre così.