– di Assunta Urbano –
In questo 2020, i giorni ci sembrano tutti uguali tra loro ed è difficile distinguere persino un mese dall’altro. Sembra che il tempo si sia fermato, bloccato. Ma che cos’è in fin dei conti il tempo? È un aspetto oggettivo o soggettivo della nostra realtà? Tanti sono stati i filosofi che hanno speso la loro vita su questo aspetto, dandone una personale considerazione. Un concetto spesso ripreso anche nell’arte, nella letteratura e nella musica.
Oggi prendiamo il caso di Tōru, che recentemente ha dedicato una canzone a questo argomento così complesso e su cui ci sarebbero infinite pagine da scrivere.
Ma prima facciamo un passo indietro: chi è Tōru?
Tōru Watanabe è il protagonista dello splendido romanzo di Haruki Murakami, intitolato Norwegian Wood. Si tratta di un ragazzo innamorato della letteratura americana e incastrato tra due donne, Midori e Naoko.
Ecco, in realtà non è questo il personaggio di cui stiamo parlando, ma è quello da cui Elia Vitarelli ha preso ispirazione per il suo nome d’arte, dando al suo progetto musicale, per l’appunto, l’appellativo di Tōru.
Il suo lavoro da solista nasce in seguito alla precedente esperienza con la band Fiori di Hiroshima. Dopo anni di studi, riarrangiamenti, il giovane pubblica il 28 febbraio 2020 il suo disco d’esordio, Domani.
A distanza di mesi, il 20 novembre esce Il Tempo, con la firma non solo del toscano, ma unita anche a quella di Lucio Leoni. Il cantautore ha prestato al brano, infatti, penna e voce per raccontare questa storia particolare.
Per entrare al meglio nel pezzo e per altre curiosità, abbiamo parlato con Elia Vitarelli.
Vorrei cominciare l’intervista con una domanda che di solito evito, perché mi sembra un po’ banale, ma nel tuo caso non posso farne a meno. Il tuo progetto porta il nome di Tōru, il Watanabe di Norwegian Wood di Haruki Murakami. Perché questa scelta? E in che modo la tua musica si fonde con la letteratura?
Dato che ho risposto più volte a questa domanda ho già un po’ la risposta pronta. La scelta fu presa in un momento in cui quel libro e le atmosfere che aveva ritagliato erano molto in linea con quello che stavo cercando di comunicare a livello di scrittura musicale. Come fa Murakami, ma come secondo me in generale l’arte fa, c’è un mescolarsi di atmosfere molto sognanti e anche di bellezza con stati della vita che in realtà sono più crudi, a volte spiacevoli. Cercavo di comunicare musicalmente questo contrasto, per questo ho deciso di adottare questo nome. Poi, per quanto riguarda la letteratura, io leggo tanti generi differenti. L’ultimo libro che ho letto è una serie di racconti sui viaggi spaziali, in cui ci sono vari autori. Mi piace molto questo contesto perché cerco sempre una dimensione in cui si riesca a trattare la natura umana, anche tramite altre storie. Questo lo si fa anche nel cinema, forse anche di più per certi versi.
Parlando di cinema, ti piacerebbe realizzare la colonna sonora per qualche film? Se sì, a quale regista punteresti?
Sicuramente mi piacerebbe, anche se servirebbero delle competenze per poter fare una cosa del genere. Si tratta di un percorso diverso rispetto allo scrivere canzoni. Ci sono molti registi che a me piacciono, anche se alcuni sono morti. In generale ti direi che dipende un po’ dal momento della vita. Musicalmente devo dire che Paolo Sorrentino sceglie sempre delle ottime colonne sonore, quindi è chiaro che non mi dispiacerebbe. Poi dipende dai film di cui si parla. Se si va all’estero ci sono mille registi che mi possono venire in mente. Non ti dico Carpenter, perché la colonna sonora lui se la fa da solo.
Un progetto ancora più ambizioso, no?
Tornando a te, venerdì 20 novembre è uscito il pezzo Il Tempo, che ti ha visto collaborare con Lucio Leoni. Prima di tutto, vorrei mi parlassi della tua concezione personale del tempo.
Questo è un discorso che potrebbe essere molto ampio. Se vogliamo buttarla su un fronte filosofico c’è tutta una riflessione alla base. Il tempo è piuttosto relativo come concetto. Però, rimanendo su una dimensione più umana, si può dire che è qualcosa che dovremmo imparare a vivere, come ha ben descritto Lucio nella canzone. Dovremmo riuscire a ritagliarci dello spazio. A volte dimentichiamo che passa, ci passa addosso, non ci rendiamo conto che molto lo stiamo perdendo. È nostra responsabilità cercare di viverlo al meglio. Questo è anche un po’ quello che ho cercato di dire nel disco che ho pubblicato, in cui c’è una riflessione su cosa è il domani, visto come un’opportunità. Sullo scorrere del tempo io sono in primis uno dei più ansiogeni. Però questo mi fa ancora essere più convinto del fatto che va vissuto al meglio.
Certo. Poi, di Domani ne tratteremo tra qualche riga. La canzone prima di essere pubblicata così come possiamo ascoltarla ora, è nata durante la scrittura del tuo disco ed aveva in principio una forma diversa. Raccontaci la storia di questo brano e del suo cambiamento nel corso di questi mesi.
A livello strumentale è stato forse il secondo o il terzo brano su cui ho lavorato per Domani. Uno dei primi esperimenti a computer, tra l’altro, basato anche su dei beat elettronici che stavo sperimentando, ispirato a dei pezzi come 15 Step dei Radiohead o cose simili. Quindi, era più una sorta di mix di stili, un intermezzo musicale, più elettronico. Inizialmente, abbiamo provato a dargli una chiave, mettendoci quella parte del pezzo che senti filtrato, dove c’è Emma, mia sorella. Quella era la prima parte. Poi, non ci convinceva ancora. Abbiamo avuto questa fortuna di poter chiedere a Lucio una mano ed è venuta fuori questa canzone vera e propria, che lui ha interamente scritto ed interpretato.
Dato che hai citato Lucio Leoni, come è stato lavorare insieme? Con chi altro ti piacerebbe collaborare?
Con Lucio è stato un lavoro un po’ a distanza. Ci siamo conosciuti nello studio La tana del bianconiglio di Nicola Baronti, il mio produttore, anche se ci eravamo già incontrati in qualche altra occasione. Gli abbiamo proposto la cosa e si è dimostrato entusiasta. Se mi trovassi a scegliere, sul fronte italiano, ti direi Iosonouncane, oppure quei pazzi dei Verdena, che sono dei folli da cui vorrei imparare qualcosa assolutamente. Per la parte testuale, uno di quelli che mi piace di più, ma anche a livello di arrangiamenti, forse è Bianconi dei Baustelle, lo apprezzo tantissimo.
Il Tempo prende il via con cinque tra i tanti termini che ci hanno accompagnato in questo 2020, ovvero: “l’oggi, il tempo, il pericolo, la prassi, il momento”. Allo stesso modo, ci sono dei sentimenti che abbiamo condiviso come collettività. Tutti ci siamo sentiti, e ci sentiamo ancora, persi e spenti. La mia personale sensazione è che il tempo, più di ogni altra cosa, si sia fermato e non siamo più in grado di andare avanti. Dopo questo lungo preambolo, ti chiedo di spiegarmi la scelta di quelle parole in particolare.
È una storia un po’ buffa, praticamente il pezzo è nato nel 2019, ma abbiamo deciso di farlo uscire nel 2020.
Effettivamente è perfetto per quest’anno.
Una data adatta forse. Il discorso è che abbiamo subito un drastico stop, chi più chi meno. Dal mio punto di vista, mi si è annullato tutto un tour, come è successo anche a tanti altri musicisti. Su questo fronte è stata un po’ una doccia fredda. Questa condizione ci ha portati tutti ad una dimensione di realtà più effettiva. Ovviamente viviamo in una società e in un tempo che va velocissimo, tra l’altro. Tutto è talmente immediato, sia le informazioni, che gli spostamenti. Fino a un anno fa non era di certo un problema prendere un aereo per Londra da un giorno all’altro. Oggi non è più così. È come tirare il freno a mano mentre vai a 150 all’ora in autostrada, ovviamente la botta la subisci. Anche se di solito non parto molto ottimista, spero che questo blocco abbia portato qualcuno a capire che dobbiamo un secondo rivalutare alcune dinamiche della vita che vivevamo prima, secondo me sbagliata. Un modo per aiutarci a comprendere che ci sono cose più importanti della velocità e della frenesia. Questo credo sia importante.
Sono d’accordo.
Riguardo Il Tempo, mi piacerebbe riservare uno spazio speciale anche al video, realizzato da Emanuele Baronti. Più che tramite immagini, il percorso visivo è costituito dalla sovrapposizione delle parole del testo su uno sfondo nero. Come vi è venuta questa idea? E, secondo te, le parole sono più forti delle immagini?
Dipende. L’idea del video è stata di Emanuele Baronti. È stato molto bravo a rendere le parole di Lucio, che già avevano una vita propria. Dato che sono fissato con il cinema, si tratta di un’ispirazione a Gaspar Noé, precisamente quello che ha fatto in alcuni sui film, di esprimere dei concetti tramite cartelli su sfondo nero. Tant’è che nella copertina – non so in quanti l’avranno colta – la “E” de Il Tempo è ispirata a Irréversible. Detto questo, le parole, sì, sono importanti, ma al giorno d’oggi temo in un certo senso che l’immagine abbia preso il sopravvento non nella maniera giusta. Se pensiamo per un secondo a ciò che succedeva anni fa per un’immagine, ci rendiamo conto che si poteva fermare il mondo, una guerra. Oggi l’immagine ha perso il suo valore. Siamo così tanto bombardati, che ad esempio vedere un bambino morto in mare non ci fa più effetto. Questo è pericolosissimo.
Ecco, forse oggi l’immagine invece che fermare una guerra l’ha messa in atto.
Sì, esatto! Spesso può addirittura diventare un’arma contro gli altri. Bisognerebbe dare un valore migliore e diverso alle immagini. Poi, chiaro che occorrerebbe lo spazio necessario, invece, per quanto riguarda le parole. A volte servirebbero libri interi per spiegare dei concetti. Bisognerebbe tornare a leggere di più.
Ti lascio con un’ultima domanda. Ad inizio 2020, il 28 febbraio per la precisione, hai pubblicato il tuo disco d’esordio intitolato Domani. Le dieci tracce al suo interno riflettevano sul confronto tra passato e presente, per poi guardare con speranza al futuro. Purtroppo, il futuro in cui ci siamo trovati incastrati non è stato per nulla “positivo”. Oggi, a distanza di mesi, come lo vedi invece il domani?
In realtà quello che dicevo anche nel disco è che non si parla di un domani collettivo. Si tratta più di un domani personale che va poi a coinvolgere il collettivo. Il domani deve essere preso come una responsabilità, positivamente, però. Non bisogna viverla come una condanna, come una paura, come un qualcosa di spaventoso. È un’occasione per migliorare e costruire qualcosa di più bello. Guardando a questo 2020, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare che passi questa fase e il domani vero arrivi.