Tommaso Talarico torna con “Canzoni d’amore per un paese in guerra”, un lavoro intenso che combina tematiche attuali con una maturità musicale evidente. Pubblicato da RadiciMusic Records, il disco si presenta come un concept album dedicato a temi cruciali come guerra, migrazione, perdita di valori e l’erosione dell’empatia in un mondo sempre più dominato da superficialità e vecchi fanatismi.
Registrato live in studio da Fabrizio Simoncioni, il suono del disco è ruvido e diretto senza privarsi di delicate tinture di momenti acustici come accade nel singolo che abbiamo tanto conosciuto dal titolo “Il giorno prima di partire”. Di sicuro si sta tornando sempre più a condizioni analogiche di suono e questo è forse l’ennesimo caso di un artista che in luogo della perfezione tecnologica ormai sfacciata preferisco un approccio che valorizza l’autenticità dell’esecuzione… e Talarico comunque non impoverisce il tutto con approssimazioni di sorta e con scorciatoie estetiche, anzi. La scelta della presa diretta conferisce al lavoro un’energia palpabile che nel mix si amalgama tutto in un dialogo organico. E forse, anche condotti pregiudizievolmente dalle note stampa, risentiamo forti i colori di un’America sudista, forse velate tinte di grigio che molti userebbero per urlare al miracolo della paisley underground.
E citando i crediti: la produzione artistica, curata da Talarico insieme a Gianfilippo Boni, si contorna di un ensemble musicale composto da Lorenzo Forti (basso), Matteo Urro (chitarre), Fabrizio Morganti (batteria) e ancora Boni (tastiere e pianoforte), è coeso e ben bilanciato, con la voce femminile di Marilena Catapano dove richiesta che aggiunge profondità emotiva in brani chiave quali proprio il singolo di cui sopra.
Non penso sia uno di quei dischi che rivoluzioni o cerchi rivoluzioni. Talarico costruisce un racconto che si dipana dentro tutto l’ascolto e che intreccia riflessioni personali e osservazioni sul mondo anche ricorrendo ad allegorie e immagini quotidiane. Non è mai stato un cantautore elitario ma forse decisamente un esponente del pop acqua e sapone (nel senso elegante e qualitativo del termine, cioè senza stratagemmi e maschere). Tuttavia il grigiore di cui parlavo è questa tensione emotiva che alterna momenti che permea tutto, un movimento che diviene di speranza e si contrappone ad un’amara consapevolezza delle difficoltà. Probabilmente per Talarico non siamo nel migliore dei presenti possibili, assediati dalla frenesia senza respiro.
Tematiche come il riemergere dei nazionalismi e la crisi dei valori vengono affrontate con testi mai troppo “poetici” ma dritti e puntuali, forse li avrei voluti più incisivi, ma ecco che la lettura (più che l’ascolto) di un brano come “Ghina” sa come mescolare entrambe queste facce e sorprendere.
È un narratore. Forse non è il rock la sua confort zone ma in questo disco, nel suo ammiccamento, ci sta bene e non sfigura. E forse sarebbe bello trovarlo dal vivo e capire quanto c’è di vero dietro questo amore profuso durante un tempo di guerra…