Denso di provocazione e di quell’attitudine lo-fi anche nella grafica che tanto richiama un passato di vagiti digitali e futuristici. Tommaso Buldini affida le sue scritture al duo dei The Decadence Club ovvero Andrea “Kana” Guerrini e Riccardo Frisari. “Sottosuolo” è un disco di avanguardia retrò, di provocazione e di testi quasi dadaisti nella concezione. Si rompono abitudini, la sintesi quasi diventa sinonimo di automatismo, la robotica mi arriva come bandiera della condizione sociale. C’è davvero tanto dentro questo progetto dalle derive anche visive.
“Chi teme la morte non gode la vita”: sai che l’ho presa come manifesto di questo disco? Penso che il sottosuolo di ognuno parta da qui…
Eh sì, ho una figlia di 4 anni cui ho dovuto spiegare la recente morte di mio padre, un qualcosa di spaventoso su cui mi sono arrovellato tutta la vita, poi quando le cose arrivano sono diverse da come le immagini, non meno dolorose ma diverse.
Perché le visioni dei Decadence Club?
Credo le nostre visioni non si discostino particolarmente da quelle del genere umano, posso dire di aver trovato in Andrea e Riccardo una sorta di famiglia, uno spazio in cui parlare di qualsiasi cosa senza timore, per poi scoprire che gli stessi “colori” sono anche dentro di loro e probabilmente in ogni persona.
Che collaborazione hai cercato e cosa hai trovato alla fine?
Il progetto non è una collaborazione, siamo un corpo unico coordinato dal sentire sopracitato, tutto è venuto in modo spontaneo, 3 teste e sei mani coinvolte in un processo, per me che vengo dalla solitudine della pittura, molto appagante. Diciamo che abbiamo guardato in faccia, a 6 occhi, il Golem.
Quanta cultura del passato c’è dentro questo suono? Un noise elettronico che tanto deve agli anni ’90… o sbaglio?
Non siamo così giovani, pur restando attaccati alla contemporaneità, i riferimenti sono quelli della nostra adolescenza, dai Nine Inch Nails a Nick Cave, passando per Leftfield, gli Underworld di Beaucoup Fish, Goldie ma anche la dance commerciale di quell’epoca, i Datura su tutti
Ha una ragione nel caso?
Beh, è il nostro linguaggio, non potremmo certo fare trap.
E questi colori eccentrici, queste grafiche assai retrò anch’esse… perché?
Le grafiche sono ispirate agli Shamen, gruppo iconico di una dance caciarona dei 90, ma anche ai nostri amati Brian Joneston Massacre
Il decadentismo lo trovo anche dentro la figura di colui che “esce per strada la sera e poi torna in casa che c’è disagio… la sua camera, da riordinare, c’è troppa confusione”. Allegoria di chi stiamo diventando?
In realtà il brano fa riferimento al “tempo effettivo” di vita vissuta, tante volte ripromettendomi di passare una bella serata rilassante, con musica, vino e un bel libro, mi sono poi trovato sul divano a scrollare Instagram, masturbarmi e addormentarmi senza manco pulirmi, fissando il soffitto.
Il benessere mentale è spesso a portata di mano ma fatichiamo a viverlo.
Riordinare la camera… è un segno di rinascita o di sopravvivenza?
Credo molto negli spazi come fonte di ispirazione, avere bene ordinati, attorno a se, gli oggetti che ci rappresentano. Quindi sì, sopravvivenza.