I Todo Modo, formazione nata dall’incontro di Giorgio Prette e Xabier Iriondo (provenienti dall’esperienza Afterhours) con il cantautore Paolo Saporiti, tornano con il secondo album che si intitola Prega per me. Un titolo che si combina con una foto di copertina per un risultato stridente, a tratti enigmatico, perfetta riduzione in scala del mood globale che attraversa il disco. Si parte con la triade “Fine del mondo”, “Non vedi che fai male” e “Clandestino”, in cui affiorano suggestioni a cavallo tra gli anni Novanta e i famigerati anni Zero, tra i Timoria e i Subsonica, senza dimenticare – ma sembra quasi ridondante – gli Afterhours.
Scrosciano le distorsioni accanto a una densa parte ritmica, mentre la vocalità (per espressione ed estensione) diventa quasi uno sport estremo. Dalle tracce più pacate, in cui la vena cantautorale prende il sopravvento a quelle dominate da un cantato più convulso, la voce di Saporiti si incunea ora nel recitato di Mimì Clementi, ora nell’irruenza di Giovanni Gulino, per arrivare a un catartico Cristiano Godano. Complessa l’architettura di “Non dite niente”, un brano che racconta la vanagloria del mondo cucendo una ipnotica litania elettrica su di un bolero militaresco. Chiusura visionaria con “La ballata di Rouen”, in cui si accavallano rumori e deliri: chitarre cupe e percussioni stranianti come il suono di una campana nel mezzo della notte fanno da tappeto a una voce che si contorce tra “memorie dal sottosuolo”.
Quella di Prega per me sembra essere un’operazione in controtendenza e, per questo, degna di attenzione: si rituffa nel noise e nella canzone d’autore, ma non lo fa in modo stantio o (auto)citazionista. Sembra più simile a un serpente che deve uscire dalla propria pelle per rimanere se stesso o, per citare il libro di Sciascia a cui la band si ispira, «all’intatta e appagata musica dell’uomo solo»: un individuo stretto nella sacrilega invocazione “Prega per me”.
Letizia Dabramo