Un libro prima di tutto. Si intitola “Mister Volare” edito da Paola Caramella. Ed è una lunga intervista a Tiberio Ferracane, domande che lasciano tessere assieme la nostra lunga storia risposta dopo risposta, spiegando e spiegata alla luce del regno musicale di Domenico Modugno. Impresa ardua ma di assoluto fascino. E lui di certo non è nuovo a questo viaggio, di certo molti di noi lo hanno conosciuto dentro “Ritratti d’autore”, una monografia che forse culla i natali di tutto questo nuovo progetto.
Difficile fotografarlo, Domenico Modugno, anzi impossibile farlo dentro solo 3 delle sue canzoni eterne. Ma penso proprio che non era questa l’intenzione di Tiberio Ferracane visto e sentito il cuore e l’espressione con cui disegna vocalmente queste tre canzoni. “U’ pisci spada” apre il trittico e lo fa dimostrando passione, ferite, liberazione… lo fa polverizzando ogni corredo sonoro e lasciando solo la sua voce (a cappella) a disegnare tutto. Certo quelle (o altre) voci di porto come preludio quasi ci ricordano la radici originali del brano ma poi Ferracane resta solo, con un riverbero imponente (bello che non sia fatto di quel solito amatoriale friccicorio sulla coda) e quel colore scuro di voce rauca che graffia il fondo e fa vibrare dentro sensazioni di sconfitta e di resa.
E poi “Tu si na cosa grande” che si appoggia al pianoforte soltanto come anche l’ultima e più celebre “Vecchio Frack”. Di sicuro avrei preferito due cose assai poco di contorno secondo me: un pianoforte decisamente più pregiato nelle esecuzioni, un pianoforte capace di ricercare colori e risvolti meno didattici e meno di solo (sembra) accompagnamento. E poi il suono: un suono troppo basico, troppo digitale, troppo da “pianola” e meno da antiche corde che sicuramente avrebbero rispettato l’opera più da vicino. E se proprio voglio calcare la mano devo dire che nella sua interpretazione del “Vecchio Frack”, nel tempo rallentato e cadenzato che lui impone come sua vena istintiva, si incontra una monotonia che alla lunga appesantisce tutto.
Sono pagliuzze e piccoli dettagli dentro una matassa che davvero riesce a risultare personale, di vissuto verace che quasi si fa solenne che quasi sento dentro quel dovere di ringraziare dell’ospitalità, come si fa quando si entra a casa altrui e forse la visita non era prevista.
Ferracane fa suo Modugno, fa sua la “maschera italiana” che è divenuta quasi la nostra bandiera caratteriale nel mondo, ci racconta questa bella Italia che corre via di generazione in generazione. A lume di candela, lungo una notte tutta sua, privata e personale.