di Francesco Pepe
Tornare con un nuovo album senza deludere le aspettative del pubblico febbricitante dopo aver dettato legge sul mercato del pop non è facile.
Eppure questo nuovo Love ci riesce, lasciandosi alle spalle il suono tipicamente synth pop anni ’80 del suo predecessore (a parte la veloce incursione in L’ultimo Giorno della Terra) per puntare a sonorità nuove, rendendo l’intero album più eterogeneo, ma anche più “normale”, meno caratteristico.
Tutto questo colpiva già dai primi singoli che hanno disintegrato le nostre orecchie prima e durante l’estate, come l’intensa Questa Nostra Stupida Canzone D’Amore e la “Sapore di Sale Style” Felicità Puttana, entrambe veri e propri motori del disco che, come in passato, trae la sua più grande ispirazione dalla gioia della semplicità, dal mare.
Il mare è uno dei protagonisti assoluti del lavoro della band romana, e torna ciclicamente nei testi a rappresentare la condizione ottimale, la sconfitta degli stress e delle paure.
L’intro strumentale di Overture apre le danze ad un lavoro che alterna momenti decisamente riusciti ad altri più bassi, che sulla strada verso il terzetto finale, composto dai due singoli e da quello che è forse il pezzo musicalmente migliore (ma purtroppo uno dei più deludenti dal punto di vista del testo), ossia Dr. House, inciampa qualche volta di troppo, ma che regala nel complesso un’esperienza piacevole e affascinante.
La sensazione è che il disco sia più costruito, meno spontaneo, ma che questo sia un pregio o un difetto è questione personale. Quello che è sicuro è che in qualche modo la band ha voluto osare, rinunciando ad una parte del sound che l’aveva così tanto caratterizzata per puntare verso nuovi lidi, sempre “fatti di sale, di sole, di sabbia e di mare”, ma anche di tanti sapori nuovi.
Dopo che tutti hanno ascoltato l’ormai celeberrimo “vocale di dieci minuti” di Tommaso Paradiso, è finalmente il momento di questo Love, un disco d’amore, di malinconia e di mare.
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di Riccardo De Stefano
In fondo è tutta una questione di obiettivi. Se il pop, per i Thegiornalisti, deve essere un innocuo compagno per le giornate di routine, colonna sonora da ascoltare distrattamente, allora Love è un obiettivo raggiunto con successo. Perché questo disco rappresenta l’episodio più leggero del già leggero pop di Tommaso Paradiso e Co.
Se una volta infatti, il nuovo alfiere del pop italiano aveva sintetizzato con efficacia quella malinconia da Fine dell’estate, elevandola a topos generazionale, Love sembra volersi soltanto accontentare.
Allargare la propria fan base comporta sicuramente un livellamento – verso il basso – dei propri contenuti, che ora più che mai diventano personali e autobiografici. La domanda che sorge però è: a chi interessa della vita domestica di Paradiso? Perché un brano come Zero stare sereno dovrebbe avere una qualche eco emotiva in qualcuno? O sapere che il nostro Tommy in Roma Milano si alterna tra ristorantini e locali chic? Dr. House è realmente dedicata al personaggio, o è una arguta metafora che mi sfugge?
Sono sicuro che l’opera artistica manifesti un’urgenza creativa e personale, quella del proprio autore: se così fosse anche per i Thegiornalisti, il successo professionale e umano di Paradiso sembra avergli fatto esaurire gli argomenti rilevanti.
Questo rende Love un enorme autoritratto, anzi, una versione musicata delle sue storie Instagram a base di esercizi in palestra e riferimenti pop .
Questo sempre che abbia senso parlare dei contenuti di un disco dei Thegiornalisti: musicalmente parlando, si tratta di pop – buon pop – reso elegante dalla produzione di Dardust, che inizia col kitsch dell’Overture, ripresa nel finale, e come tanto pop non lascia molto finito l’ascolto.