Abbiamo approfittato dell’ uscita del loro nuovo album “A New Sunrise” per fare qualche domanda ai The Public Radar, che ci hanno spiegato perché questo elettro-pop anni 80 è tornato tanto in voga nelle produzioni moderne.
Siamo alla vigilia dell’uscita del vostro primo album “A New Sunrise”, che arriva dopo l’ep del 2013 “The Public Radar”. Che cosa significa, oggi, epoca in cui sempre più il mercato musicale mondiale tenta di affidarsi al digital download e alla condivisione il più possibile low-cost via web, uscire con un album che verrà stampato su cd e vinile?
Potrebbe sembrare un controsenso, in effetti, stampare un album su cd e vinile di questi tempi, ma, in realtà, non lo è affatto.
Chi ama davvero la musica, il pubblico della nostra generazione più di altri, amerà avere tra le mani non solo le nostre canzoni, ma anche un ricordo fisico di queste. Tutto il lavoro che c’è dietro, dalla grafica alle fotografie, sono un valore aggiunto.
Inoltre, l’industria dei vinili è in grandissima ripresa, paradossalmente se ne vendono più dei cd. Tutto questo ci riporta agli anni ’80, in perfetta linea con il nostro sound.
Parlateci un po’ di questo nuovo “A New Sunrise”.
A New Sunrise è un album per noi fondamentale. Non solamente perché è il nostro primo lavoro completo, dopo l’ep, ma anche perché rappresenta un momento molto particolare delle nostre vite.
Siamo un trio cresciuto insieme nella musica, ma questa, al momento, è dovuta andare di pari passo con i nostri lavori diurni. Incontrarci la sera, in studio, per registrare, ha vestito questo album di un’atmosfera crepuscolare. Le canzoni hanno subito una trasformazione dalla sala prove allo studio, hanno indossato una veste notturna e malinconica per certi versi, in contrasto con pezzi invece più dance ed energici.
Il vostro sound è caratterizzato da molti elementi derivanti dall’elettronica anni 80. Questo tipo di sound sta ritornando prepotentemente nelle nuove produzioni dei grandi artisti internazionali. Semplice revival o contaminazione?
Siamo cresciuti ascoltando i Duran Duran, i Simple Minds, Tears For Fears i primi album di Prince, e molti altri classici di quel periodo, quindi il sound anni 80 ci viene in maniera naturale. Non è un revival, bensì una scelta stilistica precisa dettata dalla voglia di unire le sonorità 80 al sound electro-pop attuale di gruppi come i Chvrches e gli M83.
Sono sempre di più le band che decidono di scrivere i propri pezzi in inglese. Il fattore “lingua straniera” sembra essere comunque visto come un problema dalla grande industria delle major italiane. E’ un problema di pubblico ancora non in grado di apprezzare testi scritti in inglese, o forse è l’industria stessa che non è abbastanza aperta al cambiamento?
Scrivere i testi in inglese e’ stata una scelta naturale per noi. I nostri ascolti sono sempre stati prevalentemente concentrati sui gruppi anglosassoni, e crediamo che l’inglese si adatti meglio al nostro sound. Per quanto riguarda la discografia e le radio italiane, purtroppo non c’è molto spazio per gli artisti italiani che scelgono l’inglese, ma in realtà una spiegazione reale per questa situazione non c’è. L’impressione è che ci sia il timore di non soddisfare le teoriche aspettative degli ascoltatori, ma è ovvio come queste congetture siano ormai obsolete. Per noi è un errore sottovalutare l’ascoltatore medio italiano e speriamo che la situazione cambi in futuro.
Francesco Pepe