Apocalypse Town, terzo disco dei The Gentlemen’s Agreement, è un lavoro decisamente interessante ed estremamente originale, in cui viene cercato (e centrato) un equilibrio perfetto tra forma e contenuto. Il disco è un concept di 14 brani (di cui 4 strumentali) ed è incentrato sul tema del lavoro in fabbrica.
In passato altre arti o discipline avevano ampiamente affrontato il tema: penso a capolavori cinematografici senza tempo come “Metropolis” di Fritz Lang e “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, a testi di importanza storica come “Il Capitale” di Marx ma anche ad un libro come “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin; ma forse nella musica è più difficile trovare un’opera-simbolo che si sia realmente confrontata con questo argomento (o forse non la conosco io… nel caso smentitemi ed illuminatemi!).
In ogni caso il gruppo partenopeo si cimenta in questo tentativo, dando alla luce un disco complesso, di certo non immediato ma assolutamente maturo e variegato. Il concept, introdotto dal Leitmotiv “Incubo“, evidenzia la condizione di un operaio senza nome in una fabbrica senza nome. Questa condizione di anonimato totale lo pone da subito come incarnazione e rappresentazione di uno status preciso, quello dell’uomo alienato rispetto al proprio lavoro.
Definito come “un ingranaggio” (“Moloch“), l’operaio altro non è che una rotella condannata a fare sempre e solo lo stesso movimento all’interno di una catena di montaggio che non si ferma mai, che “è sempre là” (“Il milione“) . Ma questa schiavitù porta ad una presa di coscienza, ovvero che “senza le nostre mani, tu che fai?” (“Dire…direttore“). La conseguenza è una sola: fuggire, per (ri)prendere la propria vita, morderla e viverla fino in fondo (“Mordi!Prendi!Vivi!“).
La chiusura della Fabbrica, anticipata dal Leitmotiv “Consapevolezza“, comporta un tempo iniziale di smarrimento, di panico e terrore. Ma alla libertà ci si abitua subito. Ora ” finalmente il profumo di vita si sveglia in questa città.” (“Adeus“). Non c’è più bisogno di sognare ad occhi aperti, ora la vita può essere vissuta pienamente: “siedi, vivi, prendi il tuo tempo, non l’hai fatto mai.” (“Come l’acqua“).
Tutto questo percorso non è solo ideologico, ma anche musicale: il risveglio dell’operaio è accompagnato dal risveglio degli strumenti. I brani diventano sempre più vivi e ritmati, le atmosfere cupe ed opprimenti dell’inizio vengono dissipate una canzone dopo l’altra. Gli strumenti acquistano consapevolezza ed autorità, la musica copre i rumori della fabbrica, inizialmente così intensi da coprire addirittura il battito del cuore (“Rumore su Rumori“).
Se dal punto di vista musicale si tratta di un disco singolare, lo è ancora di più per quanto riguarda la genesi e l’aspetto produttivo: i The Gentlemen’s Agreement hanno infatti dato vita al loro Apocalypse Town grazie ad un sistema unico e innovato, quello del baratto. Un mese di registrazione presso lo studio SudEstudio di Campi (Lecce) è stato infatti ottenuto grazie ad un accordo che ha visto la band impegnata per il mese precedente alla lavorazione e costruzione della sala. Inoltre, i membri del gruppo hanno vissuto (oltre che composto e provato i brani) in un appartamento di un Lanificio ‘500 a Napoli, garantendo in cambio la totale manutenzione e gestione del locale, ex fabbrica di sapone. Viene naturale capire come questa esperienza unica abbia spinto e favorito la pubblicazione di un disco del genere, in un modo così fuori dalle solite logiche musicali e commerciali cui siamo abituati.
Ma non è tutto: pare che alcuni strumenti utilizzati nelle regisrazione siano stati concepiti e realizzati dal’inventore-rumorista Peppe Treccia, che ha dato alla luce uno “Psycho -Sitar” e un “Mollofono“. Infine, “Apocalypse Town” è stato publicato dalla Subcava Sonora, prima etichetta discografica ad avere rinunciato alla SIAE per aderire al sistema di gestione del Copyright Creative Commons.
Insomma, vi renderete conto come questo gruppo e questo disco siano una novità come poche se ne sentono nel nostro panorama musicale. E ben sappiamo quanto bisogno c’è invece di realtà come questa, di gente che ha ancora la voglia e il coraggio di scommettere su se stessa e sulle proprie idee. Complimenti davvero!
Giulio Valli