– di Giacomo Daneluzzo –
Francesco Taverna, in arte TAVO, classe 1993, è un cantautore proveniente dalla provincia alessandrina. Dopo il primo album “Funambolo”, uscito nel 2018, pubblica diversi singoli e gira tutta l’Italia in tour. Nel 2020 inizia un tour che viene sospeso dopo soltanto una data per via del lockdown. Il 5 maggio pubblica l’EP “Theia”, successivamente esce il videoclip di “Gange”, in anteprima per Billboard Italia. mentre da aprile inizia una collaborazione con Levi’s e Borsalino. “Fiori e Dinosauri” è il titolo del suo ultimo singolo, uscito per Noize Hills Records con distribuzione Artist First.
Ho conosciuto TAVO anni fa, presentatomi da altri addetti ai lavori e ho avuto il piacere di intervistarlo, in occasione dell’uscita di “Fiori e Dinosauri”, per saperne di più su di lui, sul suo progetto artistico e sulla sua ultima canzone. Ecco che cosa mi ha raccontato!
Ho sentito il tuo singolo, “Fiori e Dinosauri”: che cosa vuol dire per te, com’è nato?
Parto dal nome, che è un po’ particolare, poco convenzionale. Per quanto sembrino due parole messe insieme un po’ a caso c’è un senso. I fiori e i dinosauri sono nati nella stessa epoca, nello stesso periodo storico e mi piace pensare come due cose così agli antipodi tra loro – la delicatezza dei fiori e la distruzione dei dinosauri – siano coesistiti nella stessa epoca. Ho utilizzato queste due immagini, visto che nell’EP precedente, dal titolo “Theia” avevo parlato della creazione della Luna, del cosmo, della Terra e di tutto quanto, mi piaceva l’idea di continuare questo filone. Quindi ho preso i fiori e i dinosauri come metafora dei sentimenti: nell’amore, spesso, coesistono la delicatezza e la distruzione.
Non avevo pensato al fatto che fiori e dinosauri sono figli della stessa epoca, in effetti.
Ma non lo sa nessuno! Mi sono documentato e sono rimasto molto colpito. Sono nati nello stesso periodo.
Mi viene in mente un’ulteriore lettura: tra i fiori che rappresentano la delicatezza e i dinosauri che rappresentano la distruzione, alla fine, nella storia del mondo, quelli che sono rimasti sono i fiori.
Esatto, è vero! Non ci avevo pensato! Sono entrato in un loop allucinante con queste cose, ho studiato tutto ciò che non avevo studiato a scuola, dove è tutto sommario su questi periodi: Big Bang, Terra, dinosauri e anfibi. Invece già lavorando a “Theia”, visto che sono pochi a conoscere la storia della Luna, ho scoperto che la Luna nasce da una catastrofe, da un pianeta gigantesco, Theia, appunto, che oltre 4.5 miliardi di anni fa si è schiantato contro la Terra e i detriti generati da questa collisioni sono schizzati nell’orbita terrestre. Per la legge dell’attrazione gravitazionale si sono accorpati tutti dando origine a quella che oggi conosciamo come Luna. È bellissimo come da una grande catastrofe possa nascere una grande possibilità: infatti la presenza della Luna era l’unica possibilità per la nascita della vita sulla Terra. Mi sono fatto proprio un trip con tutte queste storie.
Incredibile! Quindi sei proprio un appassionato!
Non ero appassionato di queste cose ma quando entri in contatto con un argomento così interessante vuoi saperne di più. Per esempio in questo periodo mi sono chiesto: «Ma tra i dinosauri e i mammiferi che cos’è successo?». Credo che ne parlerò nel prossimo singolo… È anche questa una storia bellissima. Ci sono un sacco di buchi neri nelle cose che si studiano a scuola, come questa storia della Luna o quella delle piante. E lo stesso vale per i mammiferi, che altro non erano che vecchi dinosauri che erano piccoli, quindi di giorno si nascondevano per scampare ai predatori, che erano a sangue freddo, uscivano di notte per mangiare i resti dei predatori più grandi. Iniziando a uscire di notte la Natura li ha provvisti di pelo: erano delle specie di topi. In un certo senso discendiamo anche noi da dei topi primordiali. In seguito i dinosauri si sono estinti e i mammiferi hanno iniziato a diventare molto più grandi; alcuni di loro, come le balene, sono diventati cetacei, perché pesavano troppo per vivere sulla terraferma.
Ti vedo ferrato su questi argomenti.
Sì, sì, ormai sono diventato un drago su queste cose!
O un dinosauro!
Mi sembra che dal tuo album di tre anni fa, “Funambolo”, ci sia stata una certa evoluzione: questo singolo e i tuoi lavori precedenti, tra cui l’EP “Theia” mi sembra che siano, dal punto di vista musicale, un po’ più ibridi tra vari generi, mentre dal punto di vista dei testi noto una maggiore spontaneità. Che cosa puoi dirmi a riguardo?
Per quanto riguarda l’evoluzione sonora non so se si possa effettivamente parlare di “evoluzione” ma di sicuro è una scelta, quella di creare più ambiente nelle cose: “Funambolo” è un disco più scarno da quel punto di vista; comunque ci sono affezionatissimo e non posso dire niente su quest’album, visto che è il disco grazie al quale ho girato tutta l’Italia e ho capito che volevo fare proprio questo, come mestiere.
Per quanto riguarda i testi ho cercato di smettere di pensare al “giudizio interno”. Sembra una frase banale, ma nì: ho cercato di essere più sincero, di raccontare di più di me stesso, in modo più libero. Prima avevo più paura a parlare di me, perché avevo paura del giudizio: se qualcuno mi avesse detto: «Il tuo album mi fa schifo» l’avrei sentito come un attacco, non solo al mio lavoro ma anche a me e al mio modo di vivere. Oggi me ne frego di più di questa cosa e in tutte le canzoni che scrivo lascio uno spazio immaginario in cui l’ascoltatore possa dipingere i paesaggi che racconto e immaginare i volti dei protagonisti. C’è chi dice: «Faccio musica mia, voglio che sia solo mia»; io vorrei che la mia musica fosse condivisa, quindi bado a queste cose.
Prima il mio modo di scrivere era molto più terra-terra: poche metafore, poche immagini. Col tempo, anche per il mio gusto personale, ho iniziato a pensare che sarebbe stato più bello creare un immaginario, raccontare una storia attraverso le metafore. Mi piace lavorare in questo modo.
Mi dicevi che con il disco hai girato l’Italia: hai in mente di riprendere con i live o prima hai intenzione di far uscire altro materiale.
Credo che andrò avanti con le due cose parallelamente. Purtroppo nel 2020 si è fermato quello che doveva essere il mio tour: abbiamo fatto solo la prima data, abbiamo presentato il tour in apertura ai Sick Tamburo. Era l’unico anno che avevo una produzione… È stata una fucilata, veramente. Presentarlo e dire: «Adesso parto» e poi dover stare a casa è stato davvero brutto. Un’altra cosa che ho accusato è stata che dal lato stampa c’era tutto: la comunicazione con la stampa, i passaggi in radio… Persino la Levi’s aveva promosso il mio progetto! Invece sul fronte dei live, ovviamente, c’è stato il nulla cosmico per tutto questo tempo. Ora si cerca di riprendere, sono il primo a muovermi in questo senso, ma con l’impressione di essere l’ultima ruota del carro. Le realtà piccole, poi, sono quelle che hanno patito di più.
“TAVO” è scritto dappertutto in maiuscolo: è voluta questa cosa?
Sì, è voluta, ma più che una questione di egocentrismo o di amore per il Caps Lock. Semplicemente quando è stato fatto il logo, con la scritta «TAVO», stava decisamente meglio, per una scritta di quattro lettere. Era molto più bilanciata. Deriva dal mio cognome, tutti mi chiamano così fin dalla prima elementare. Più che un nome d’arte è il mio soprannome.
Sei di Alessandria: io non so molto della scena di Alessandria, che panorama c’è?
Semplice: non esiste! [Ride, ndr] Alessandria, lo dico ne “Il tempo di ballare” è «grigia d’umore e di palazzi». È così, letteralmente: una città in cui una realtà musicale fondamentalmente non c’è. In provincia, nel Monferrato, c’è Mescal, l’etichetta di Ermal Meta e Simone Cristicchi. A livello di live e di eventi non c’è praticamente nulla, è una realtà morta, da questo punto di vista. C’è solo un posto dove suonare, ad Alessandria, il Laboratorio Sociale, detto “Lab”. Fai conto che ho girato due anni l’Italia prima di avere un posto per suonarci. Ci ho visto tanti concerti belli, tra cui The Zen Circus per il tour de “La terza guerra mondiale”.
Mi sembra che abbia un rapporto un po’, come dire, ambivalente, con la tua città, no?
Sì. Vivo in un paese limitrofo di Alessandria, un paese di ottocento anime. È una tragedia, quando posso infatti scappo a Milano.
Quindi tu hai vissuto proprio la provincia “quella vera”…
Sì, sì, assolutamente. Più provincia di così non si può. In realtà il posto in cui vivo si chiama Piovera e ha meno di ottocento abitanti, ma adesso hanno cambiato gli accorpamenti di Comuni, qualche anno fa, e ora Piovera non esiste più: ora ci sono Alluvioni Piovera, con quasi duemila abitanti, e la città più vicina è Sale, che ne ha circa quattromila. Comunque siam sempre lì, non cambia molto.
Pensi che la realtà della provincia ti abbia influenzato?
Sicuramente sì, perché devi inventarti qualcosa, se no ti spari o ti impicchi. Io mi sono messo a suonare e tutta la voglia che avevo di uscire da questo posto è diventata volontà di scrivere canzoni che potessero portarmi in giro. Mi piace pensare che per me le mie canzoni siano state il biglietto del treno per uscire dal posto in cui vivevo.
Questo filone del nuovo cantautorato, del nuovo pop italiano, a cui puoi essere ricondotto, è figlio della provincia, concettualmente, perché sono tutte realtà, quelle descritte dei testi, piccole, l’immaginario è quello della provincia. Che ne pensi?
Per me è verità assoluta. È ciò che ho vissuto e penso che siano state proprio la noia e la voglia di uscire a trasformarsi in volontà e a portarmi a scrivere le canzoni.