di Riccardo De Stefano.
con la collaborazione di Lindiependente e Radio Eco.
Nel palco Lightstage dello Sziget Festival, gestito da Alternativa eventi, il main event del secondo giorno di manifestazione è quello dei Gomma, la giovanissima band campana che ha saputo portare l’emocore sui palchi indie. Dopo l’infuocata esibizione, sotto il sole ustionante ungherese, Ilaria e Giovanni – voce e chitarra del progetto – commentano con noi il loro percorso attuale, ad un anno abbondante dall’uscita del loro esordio Toska e l’importante traguardo del loro primo show internazionale.
Siamo nell’epoca del ritorno del synth pop, da una parte c’è l’indie-pop, dove tendono a scomparire le chitarre, dall’altra c’è la trap che forse non le ha mai sentite nominare. Voi, in mezzo. Come vi piazzate in questo panorama dove la chitarra è diventata un’eccezionalità, sia come suoni che come scrittura?
Giovanni: Allora il punto è che quando abbiamo cominciato a suonare non ci aspettavamo di fare tutto questo, ci aspettavamo di essere inseriti in un ambiente hardcore, punk, invece è successo l’opposto. Ci siamo ritrovati in festival dove eravamo l’unica band che urlava sul palco. Non è una scelta nostra, ci esprimiamo come riusciamo a fare, e noi ce la facciamo solo così.
Nel calderone dell’indie, il pubblico ascolta Cosmo, Gazzelle, i Gomma… che cosa vi unisce?
Giovanni: Ho 23 anni e sono ancora molto intollerante. Per me era difficile capire perché uno ascoltasse certa roba, e poi noi. Poi sono entrato nell’ordine delle idee che se uno apprezza anche noi, vuol dire che è più aperto di me. Io mi ascolto altre cose però per noi chiunque è felice di sentirci è graditissimo.
Ilaria: Sicuramente c’è stato un fraintendimento. In un momento in cui non c’erano band che suonavano come noi, il nostro ingresso nella musica italiana è stato inizialmente frainteso. Le persone si aspettavano che fossimo qualcosa di diverso da quello che siamo, poi la cosa si è resa chiara. Tipo il Movimento Cinque Stelle. Noi avevamo già le idee chiare ma inizialmente non si sono capite.
C’è molta italianità, avete unito i due aspetti, l’emo-core internazionale e il disagismo italiano. C’è un discorso generazionale in mezzo?
Ilaria: Più che generazionale direi proprio generale. Questa è una cosa che va da sé per il semplice fatto che io sono italiana, parlo la lingua italiana, quindi riesco a rispecchiarmi di più in un testo italiano. Prima ci si tratteneva a livello artistico e si provava a scrivere in inglese. Io durante il giorno penso in italiano, i miei sentimenti sono in italiano, mi verrebbe difficile scriverli in inglese, dovrei forzarmi, studiarmi le parole, cosa che non ritengo opportuna.
Toska, vostro primo album, ormai ha una età. Con gli occhi di adesso, vi è piaciuto? Cosa c’è che non va in Toska?
Giovanni: No, no… non ha più nulla da dire oggi.
Ilaria: è acerbo, immaturo. Mi rappresenta, perché l’ho scritto io. Però non sono soddisfatta. Se avessimo avuto due mesi in più, avremmo potuto rivedere determinate cose. Quello che ritengo più importante dal punto di vista della scrittura è che quest’anno abbiamo avuto la possibilità di scoprirci a livello musicale, di capire cosa ci piace. Quindi ora abbiamo le idee molto più chiare rispetto a due anni fa.
Giovanni: Poi quando scrivi un disco, c’è il tuo motivo personale, e l’obiettivo concreto, il riscontro del pubblico, non sempre coincidono. Per esempio Toska che ha avuto un buon riscontro di pubblico, non ha raggiunto il nostro obiettivo personale. Nel prossimo cerchiamo di fare il contrario.
Avete chiuso il concerto con un inedito che sembra però proseguire sulla direzione sonora di Toska. Uscirà per Bomba Dischi, visto che eravate alla festa di Bomba?
Ilaria: non credo che uscirà per Bomba Dischi, con loro abbiamo il contratto di edizione.
Giovanni: I ragazzi di Bomba sono fantastici, sono amici, ma non ci vogliono, né noi vogliamo loro… scherzo! Ma è bello partecipare alle feste delle altre etichette, perché ti permette di uscire dal tuo giro solito. Abbiamo suonato qualche pezzo nuovo solo perché non ci andava di fare i vecchi, non sappiamo se li metteremo nel disco, stiamo cercando di capire meglio noi stessi.
Avete suonato sul palco dello Sziget, che quest’anno ha un cartellone ben nutrito di artisti italiani. Cosa ne pensate di questo traguardo e dell’impatto che sta avendo la musica italiana a livello internazionale?
Ilaria: penso che a prescindere dagli artisti, era ora. Non c’era mai stato un impatto, a meno che non si parli di Laura Pausini. Sono molto contenta di questo. Una artista che si esprima in italiano è complicato che possa uscire, è una bella soddisfazione anche vista da fuori, da cantante di un gruppo che probabilmente non fa parte di questo discorso. Riguardo il suonare qui, è una grande soddisfazione, è la prima volta che suoniamo fuori e in un festival così grande. Ci siamo sentiti a casa, ci sono tanti italiani, e persone che avevamo anche già visto, è stato molto bello.
Com’è il pubblico straniero per un gruppo italiano, forse eravamo tutti italiani però c’è una differenza tra il pubblico italiano che viene ai vostri concerti in Italia e il pubblico italiano che vi ascolta all’estero?
Ilaria: sicuramente c’è dal pubblico una voglia di far vedere che è un qualcosa che ti appartiene, che conosce, “questa è roba mia, io la conosco”. Probabilmente se l’avessimo fatto a Udine non sarebbe stato lo stesso, quindi si c’è una differenza. Far vedere che voi avete le vostre cose e noi anche abbiamo le nostre, e in questo ci rispecchiamo. Quell’atteggiamento fa la differenza.
Giovanni: è l’atteggiamento di quando italiano all’estero ti manca l’Italia, ti manca il basilico, il ragù, e vai al ristorante italiano. Molto ristretto ma molto più accogliente.