“Ah, sei un musicista!?”
“Sì, ho un band!”
“Forte! Ma fate cover o pezzi vostri?”
Ecco la più classica delle conversazioni. È capitato a tutti, lo so. Quella domanda alla quale ormai sei abituato, hai la risposta pronta appena capisci l’argomento. Se facessi l’architetto a nessuno verrebbe in mente di chiederti “Fai progetti tuoi o copi Le Corbusier?”, ma se sei musicista la domanda sorge spontanea. E non è per mancanza di fiducia nei tuoi confronti, non è neanche ignoranza, è una domanda che puoi ascoltare anche da chi capisce un po’ di musica. È semplicemente, generalizzando un po’, la visione che il pubblico ha della musica originale.
Iniziamo col dire che il pubblico, inteso come utente “attivo” e non semplice recettore, della musica, si può dividere in tre categorie: gli amici/parenti; i musicisti; gli amanti del genere. Ognuna delle tre categorie ha oggi scarso interesse nei confronti delle proposte originali che a noi piace chiamare emergenti, questo è un dato di fatto e i motivi sono sicuramente molteplici.
Spenderei veramente poche parole sulla prima categoria, benché rappresenti una grossa fetta di pubblico agli esordi di una band è di scarso interesse per musicisti che intraprendo un progetto ambizioso. Può andar bene ai primi concerti, per testare la propria capacità di suonare davanti a qualcuno, ma non è, spesso, un pubblico realmente interessato.
Quella dei musicisti è invece una categoria molto interessante e, con ogni probabilità, la fetta più grossa della torta per una band emergente. Il musicista emergente tende a seguire le band che circolano all’interno dell’underground della propria città, il suo interesse può essere di diverso tipo, ma comunque gira, va ai concerti, ai festival, incontra musicisti come lui, si crea contatti, rappresenta una tipologia di pubblico dinamico, col quale poter avere uno scambio su vari livelli. Il consiglio che mi sento di dare ai musicisti che stanno leggendo queste righe è di muoversi il più possibile: andate ai concerti degli altri, acquistate i loro dischi, parlate con loro, confrontatevi in maniera aperta, eliminando qualsiasi competitività. Accrescerete il vostro background e vi creerete contatti che potrebbero risultare molto utili.
Arriviamo poi agli “amanti del genere”, il pubblico vero e proprio, quello con la “P” maiuscola, anche detti fans. Tutto il circo ruota intorno a questo, o meglio, nel nostro caso, alla sua ricerca. Voglio dire una cosa banale ma che è un punto di partenza fondamentale per iniziare a pensare a come conquistarsi un Pubblico: oggi la gente è bombardata ogni giorno da decine di proposte musicali, inviti ad eventi facebook, video, stralci di riviste, link di ogni genere; ciò contribuisce ad allontanare l’utente, sfinendolo, ed a ridimensionare il suo interesse verso la musica originale. La smisurata offerta supera di gran lunga la domanda rendendo il pubblico passivo. Ma il pubblico, come detto, è il fulcro del gioco e dobbiamo conquistarlo. Come? Rendendolo protagonista, trasformando un atteggiamento passivo in attivo, accrescendo la sua attenzione nei nostri confronti grazie all’interazione. Il primo esempio che mi viene in mento a tal proposito è il crowdfunding, il finanziamento diretto del proprio progetto attraverso i fans.
Piattaforme web come Musicraiser, ad esempio, offrono questo tipo di servizio. Come funziona? Mettiamo che io abbia una band e volessi incidere un disco, propongo il mio progetto, fisso un budget, fisso un lasso di tempo entro il quale completare la mia raccolta fondi e stabilisco delle ricompense da offrire in cambio dei contributi che mi vengono donati. Se me la gioco bene, proponendomi in modo accattivante e stabilendo in modo intelligente le ricompense avrò guadagnato non solo il budget che mi permetterà di realizzare il mio album, ma anche un pubblico che continuerà a seguire l’evoluzione e del mio progetto. La prima volta che ho contribuito ad un progetto attraverso il crowdfunding ho ricevuto in cambio il mio nome stampato (insieme ad altri) all’interno del booklet sotto la voce “coproduttore”, per 25€ mi sono portato a casa un bel disco e la sensazione di aver partecipato “attivamente”, e non solo quale utente, a qualcosa.
In questo caso il rapporto tra band e pubblico viene stravolto, esso emerge assieme alla band, vedecrescere il progetto e vi partecipa, cresce parallelamente nella consapevolezza di essere determinante non solo in riferimento alla band che sostiene, ma in senso più ampio per l’intero movimento emergente.
Il crowdfunding è un ottimo modo per avvicinare il pubblico al proprio progetto, inutile però dire che non può bastare ad invertire una tendenza che è radicata nella nostra cultura e cioè quella di considerare la musica suonata sempre e solo come un hobby e mai come un lavoro o più semplicemente come un bisogno artistico, uno strumento per palesare le proprie emozioni, ed è un problema culturale.
L’utente “distratto” fatica a trovare una via di mezzo tra il ragazzino quindicenne che sogna la Royal Albert Hall suonando nel pub sotto casa e “l’Artista” affermato, per il quale non disdegna di spendere 100€ a serata, ignorando che nel mezzo c’è un mondo, sicuramente più economico e, probabilmente, molto più vario e divertente. Ne consegue che difficilmente andrà a vedere il concerto di una band che non conosce, quando al limite andrà a vedere il suo amico chitarrista, la prima volta per curiosità, la seconda per cortesia e alla terza avrà altro di più divertente da fare, come per esempio vedere una tribute band.
Ora, io non ho nulla contro le tribute band, sono sicuramente divertenti per chi ci suona e per chi le ascolta. Trovo però assurdo che la gente le preferisca alle band di musica originale, al punto che molti locali s’ostinano a spingere ancora questa proposta musicale. Capisco inserire una tribute band all’interno della programmazione settimanale, ma limitare la selezione musicale alle sole cover significa bloccare la musica emergente e di conseguenza l’evoluzione artistica della scena underground. Il pubblico andrebbe “guidato” alla ricerca di nuove proposte, assecondando anche i suoi gusti, cercando di far capire loro l’importanza che hanno all’interno del meccanismo, che ognuno di noi ha, partecipando ai concerti, acquistando i dischi, condividendo in rete i video (come si fa abitualmente per le canzoni di artisti affermati) e promuovendo per quanto possibile le band che più gli piacciono, per dare il proprio contributo all’intera scena emergente ed al suo sviluppo.
Insomma, invertire questa tendenza è possibile e deve essere l’obiettivo di tutti.
Francesco Galassi
ExitWell Magazine n° 1 (marzo/aprile 2013)