Quante volte vi sarà capitato di sfiorare la gaffe, vuoi per confusione o per semplice lapsus, chiamando “Kubrick” il celebre enigma del cubo e “Rubik” lo Stanley regista? Bene, ora potrete chiamarvi fuori almeno da quest’ultima situazione spiegando che intendevate gli Stanley Rubik, band elettro-rock romana che ha da poco dato alle stampe un EP di tre tracce dal titolo lapubblicaquiete.
Il nome del gruppo, oltre ad essere un evidente gioco di parole, è stato scelto per esprimere una serie di contrasti e contrapposizioni di cui sono ricchi sia il sound del disco che le tematiche affrontate. Nel primo caso parliamo della commistione tra un’anima più “suonata” ed elettrica, e la componente elettronica, che in alcuni passaggi si limita ad essere una contaminazione ma che in altri costituisce l’ossatura centrale dei brani. Synth, sampler e batterie elettroniche conferiscono qui e là freschezza e dinamismo all’arrangiamento dei pezzi, senza mai renderli poveri di contenuti (come spesso accade in molte formazioni prettamente rock che si cimentano con l’elettronica) ma arricchendoli. Gli effetti di voce, sempre intelligenti, fanno il resto, regalando ampiezza nei registri bassi e sostenendo acuti e virtuosismi spesso distorti.
Ulteriore contrasto a tinte forti è quello celato dietro al titolo dell’EP, lapubblicaquiete. Le tematiche del disco infatti sono tratte dalla quotidiana normalità, che come spesso accade è tutto fuorché “normale”. I testi, sempre ermetici ed essenziali, descrivono (purtroppo) la vita di tutti i giorni, in cui ansie ed ossessioni agiscono in maniera più violenta che dentro qualsiasi film. Così il primo brano l’abuso racconta una precarietà psicologica fatta di fragilità e insicurezze, da cui il protagonista tenta la fuga dimenandosi nel travolgente finale. Prosegue il discorso Pornografia, che applica la tematica dell’abuso alla sessualità. La ricerca del piacere, a volte violenta e masochistica, è ancora un mezzo per sfuggire ad una realtà che ci uccide dentro, dove non si vede. I testi sono resi ancor più ossessivi e reiterati dall’effetto delay sulla voce. Chiude il cerchio il terzo ed ultimo brano: non è servito fuggire, tentare di cambiare cose? Allora cambiamo noi stessi. Vademecum, come suggerisce il titolo stesso, ci spiega come fare. “Mi piegherò, come ramo fletterò”, è uno dei propositi del protagonista, che fa ammenda dei propri errori. “Non brucerà, non soffrirai” lo rassicura una voce materna.
La pubblica quiete è una quiete crudele, come quando ti chiedono “Come stai?” E tu pensi “vorrei morire” ma rispondi “tutto bene”. E ringrazi anche.
Matteo Rotondi