Esce il 12 aprile il nuovo album dei Tre Allegri Ragazzi Morti, Garage Pordenone, decimo disco della leggendaria band de La Tempesta Dischi.
– di Roberto Callipari –
Un viaggio fra i sentimenti e i luoghi, un vagare nei posti a metà fra il romanzesco e il reale, proprio come il Garage Pordenone del titolo, luogo fisicamente autentico e presente proprio a Milano, nel cuore pulsante della discografia italiana.
Il ritorno dei Tre Allegri Ragazzi Morti con Garage Pordenone è a metà fra una sorpresa bellissima e un evento messianico. A sorprendere non è certo la qualità del disco, che i singoli avevano preannunciato come un nuovo arrivo in grande stile, ma il trovarsi di nuovo e ancora di fronte a qualcosa che è un unicum nella discografia dei TARM, che ancora una volta ci dicono quanto se ne sbattano delle categorie e dei preconcetti, e ci ricordano quanto è importante, oggi e sempre, la libertà e la spontaneità artistica, oltre che umana, reale. Messianico perché si sa, sono i TARM, sono quelli di Pordenone col teschio e le chitarre, quelli de Il mondo prima e La tatuata bella, quelli che ogni concerto è un evento, è vita, quelli che ne hanno ispirati tanti, quelli che “ah ma prima erano punk, e poi hanno fatto il reggae e poi la cumbia, e quanto si divertono e ci divertono”, quelli che se escono con disco e tour, ancora una volta, anche dopo trent’anni, creano un fermento incredibile attorno a loro, perché i Tre Allegri Ragazzi Morti non sono di moda perché non stanno alla moda, ma sono la storia, e lo sono sempre stati.
Fatta questa premessa dal sapore di conclusione, parlare di Garage Pordenone è parlare di tutto e niente, nella misura in cui il parlarne rischia di essere vuoto e vano, ma è uno sforzo autoimposto che porta ad alcuni punti.
Il primo, sicuramente più tecnico, è quello che il nuovo album, a trent’anni dall’esordio della band di Toffolo (ma non solo, eh), suona fresco, moderno, ma con un occhio al passato del genere tanto a quello dei TARM, che non abbandonano nulla, né nella musica né nei testi, ma giungono a una nuova fase, un’altra ancora, nella quale cambia lo sguardo sul mondo e con esso il modo di raccontarlo.
E sul racconto, si interseca il secondo punto del disco, che è quello della narrazione: matura, cosciente, consapevole, ma anche onirica, trasognata e trasognante, come la penna (e le matite) di Toffolo ci ha spesso abituato, portando una narrazione sicuramente in linea con quella di una band con trent’anni di musica, di tour, di vita, ma senza risultare mai stanca e anzi, capace di sorprendersi e giocare col proprio stupore, con la voglia di vita e di leggerezza che ispira e chiama a sé.
E c’è poi un terzo punto, tutto legato alla dolcezza di questo disco, che è personale e quindi relativa, ma viva, presente, inevitabile sfondo di un racconto che non si fa nostalgico nelle righe di una storia talmente lunga da essere monumentale nell’indipendente italiano, ma è piuttosto una dichiarazione d’amore a se stessi, al proprio percorso passato e futuro, e a tutto il pubblico che ha fatto parte di questo magnifico viaggio fino al decimo album.
A condire il tutto, un tour che ha registrato una partecipazione incredibile perché sa già di festa, anche se lì ancora non ci siamo, anche se i Tre Allegri Ragazzi Morti li abbiamo tutti visti già mille volte, e forse proprio per questo sarà ancora di più una celebrazione, forse, per questo, sarà ancora più bello con un nuovo album tutto da cantare.