SOPRAVVIVERE AL 2016
Parte 1 – Di “Disagismo”, mainstream, Schola Cantorum: Apoteosi dell’Indie
2016.
What a long, strange trip it’s been, potrebbero dire i Grateful Dead (ma hanno sepolto definitivamente questo nome l’anno scorso).
Se il Mondo ha salutato definitivamente una buona parte del cosiddetto classic rock (ultima a salutarci – pare – proprio la rivista “Classic Rock”, versione inglese), con la scomparsa di alcuni degli autori più importanti per la storia del pop, da intendersi in senso lato (la lista la conoscete tanto), dall’altro lato c’è stato il trionfo dell’ R&B, e la classifica di fine anno di Pitchfork sembra una puntata di “8 sotto un tetto”.
E in Italia, invece? Nel mondo “indie”, che è quello che ci compete?
Le influenze elettro-sperimentali di questi anni non sembrano aver toccato granché la Penisola, se non in rari casi che devono ancora conquistarsi l’amore ecumenico (leggasi Wrongonyou, per dirne uno).
L’anno scorso la faccenda era più semplice: c’era Iosonouncane, i Verdena e il quasi esordiente Calcutta, che il 90% di voi non conosceva neanche per sbaglio, sorpresa-rivelazione di una scena musicale che finalmente usciva allo scoperto. QUA vi raccontavo cosa ne pensavo, ponendo una domanda, che aveva in sé – ovviamente – già la risposta: avrebbe dominato l’approccio serio e profondo di Iosonouncane, oppure il pop mainstream d Calcutta avrebbe vinto facilmente?
La risposta è evidente.
Con sapiente gioco di incastri, prima I Cani, poi Cosmo poi ancora Calcutta e infine i Thegiornalisti hanno dominato le classifiche (di fine anno e di vendite), urlando fortissimamente una cosa: indie un cazzo. Quello che era un nome e solo un nome ha rivelato la sua vuota essenza, cioè l’incapacità di coglierne il contenuto, visto che di “indipendente” c’è effettivamente solo l’origine, prontamente fagocitata dalle grandi Case e ribattuta in tutto l’etere. Io invece, preferisco chiamarlo “Disagismo”, che potrei riassumere così:
il Disagismo è la propensione forzosa e coatta (non in senso romano, birbanti!) al presunto mal di vivere dei ragazzotti borghesi (piccoli o grandi che siano) del Primo Mondo, che stanno male male male da morire e non vedono l’ora di comunicarlo sui social con foto in posa e immagini di copertina proto intellettuali. In altre parole, quell’approccio alla Vita dove si celebra una mancanza e una malinconia perenne irrisolvibile, che si tramuta musicalmente in ballate sofferenti; dove il pop, basato su armonie semplici e melodie orecchiabili e facilmente cantabili, si unisce a una elettronica minimal che ha dimenticato perlopiù le chitarre, in favore di un gusto retrò sonoro, capace di rivalutare cantautori mediocri come Luca Carboni o insopportabilmente nazionalpopolari come Venditti.
Una riscoperta forse necessaria, visto che il resto è stato già tutto ampiamente espoliato, ma che grottescamente spinge le persone a riconsiderare gente come Vasco Rossi o i succitati autori, ponendo le premesse per alcuni degli incubi musicali futuri più oscuri possibili.
Dicevamo, disagismo. Intere schiere di giovani che impazziscono d’hype per i loro nuovi miti e gli regalano gli onori delle cronache, platee piene, meme su pagine e gruppi Facebook sempre più numerosi, “sold out” ovunque, perfino nei titoli di album e canzoni. La cosa più interessante da notare è che non si tratta soltanto di una questione di “vendite” ma di “scuola”: Calcutta ha fatto Scuola. In maniera involontaria, il prodotto più riuscito di Bomba Dischi ha fatto vedere cosa fare e come farlo per spaccare quella cortina di ferro d’indifferenza del pubblico italiano, piegando i confini cittadini e regionali e invadendo tutti i mezzi di comunicazione.
Videoclip efficaci, dove si staglia il monopolio artistico di Francesco Lettieri (che come il Favino di Boris, fa tutto lui in questi anni), strutture pop copiate e incollate e riprodotte in serie e sempre gli stessi suoni, con Contessa de I Cani e Matteo Cantaluppi (Thegiornalisti ed Ex Otago come gemelli al polso) a dettare la linea sonora, fedelmente clonata poi da quelli che vogliono provare a sfondare.
Così, ecco spuntare Savastano con “Una canzone indie”, che fa (sor)ridere ma denota furbizia e lungimiranza, fino ai veri e propri copycat, come l’imbarazzante progetto Cambogia, che ruba oscenamente perfino il nome della pagina Facebook, preferendo puntare su questo approccio comunicativo (sul serio, Napalm Dischi?) piuttosto che valorizzare la propria scrittura. E poi ancora i Canova o Gazzelle (per Maciste Dischi, che ha deciso di giocarsi tutto in questa direzione sperando di trovare il jolly – glielo auguriamo).
Copycat, cloni e una sensazione sola: il quasi totale appiattimento della proposta musicale italiana, che trovata una formula vincente ha deciso di spremerla fino allo sfinimento, fin quando anche l’ultimo degli (ex) hipster avrà versato l’ultima delle proprie lacrime, affranto da una spunta blu su Whatsapp che non si decide mai ad arrivare.
Chiudo così questa prima parte, con lo sconsolante panorama del nuovo pop disagista ex-indie, l’unico capace davvero di generare soldi (ahem, click e biglietti venduti, scusate) per un mercato che deve capire come gestirli e come investirli. Sottolineando che, comunque, al di là delle preferenze musicali, se questo circuito musicale riesce a generare pubblico e big money è pur sempre una piccola conquista, proveniente dal basso.
The times they are a-changing? Forse, probabile. Il 2017 sfrutterà ancora l’onda lunga di quest’anno, cercando di sfruttare questi nuovi eroi del Disagismo (Lo Stato Sociale, si parla di te!), anche nell’inedita veste di autori per gli interpreti istituzionali (quelli che magari si vedono solo a Sanremo, per intenderci)? Capirà come sfruttare appieno la situazione, prendendo il posto delle piccole e innocue case discografiche indipendenti? Se così fosse, il 2018, seppure all’orizzonte, ha già i contorni dell’Armageddon.
Riccardo De Stefano