Sarà l’epoca moderna che si tinge di nostalgia con il grande ritorno della storia degli 883 che un poco contamina il pensiero e l’ascolto di qualsiasi forma del pop moderno, ma (futuro tecnologico a parte), questo nuovo lavoro degli SMALTO mi rimanda terribilmente a quei colori di provincia, di adolescenza, di amori indomiti da inseguire notte tempo sotto casa. E tanto tanto altro che ha poco a che fare con la vita degli adulti. Ed è un caso che in questa tracklisti di appena 6 inediti c’è un omaggio ai Prozac+? Forse no… Il tempo si ferma dentro le trame digitali di Matteo Portelli e Francesco Petrosino che qui chiamano a raccolta anche tanti amici e colleghi per siglare le featuring per questi 6 nuovi brani che ragionano sull’identità. Non poteva non intitolarsi “Singolare/Plurale” il nuovo disco degli SMALTO. Una lunga intervista per raccontarci tutto questo…
Quante voci diverse ha smalto questa volta. Come mai? Come le avete scelte? Prima i brani o prima l’idea di chi avere accanto?
Eh sì, ne ha un bel po’! Abbiamo voluto dare una voce collettiva a questo EP, e il titolo “Singolare/Plurale” racconta anche questo; volevamo in un certo senso definire Smalto come un individualità multipla, storie e pensieri al singolare ma espressi da voci diverse. Anche in “Sotto un’altra luce”, l’unica canzone in cui c’è solo la “nostra” voce (quella di Matteo), non è veramente una voce singola, è stratificata, doppiata, armonizzata.
Questa era un’idea di base, che poi abbiamo pensato di declinare chiamando musicisti che sono prima di tutto nostri amici, persone con cui c’è un rapporto sia dal punto di vista musicale (collaborazioni, passate e presenti) sia dal punto di vista umano, perché per essere una voce plurale ci deve essere anche in qualche modo un sentire comune, che si può avere solo con dei veri amici.
Le canzoni erano già impostate e strutturate, e man mano, a seconda del contenuto, abbiamo capito chi poteva esprimere meglio quello che volevamo dire. E quindi Mox, che ha una voce malinconica e un po’ “retrò”, perfetto per parlare di nostalgia; Emanuele Mancini, che è praticamente un nostro fratello, con cui cantiamo una canzone che aveva bisogno di un’energia emotiva molto intima, dato che parla di un evento molto triste; Amalfitano, che quando si parla di feste è assolutamente la persona da chiamare, Giulia Laurenzi (ex cantante dei Moblon), una voce femminile molto incisiva, che ci ha aiutato a creare un bel contrasto nel raccontare il binomio bellezza/malessere di Betty Tossica. Mentre in Dimenticare i nostri amici Broni e Androgynus ci sono perché per un periodo erano praticamente parte del progetto, e hanno aiutato anche a produrre la canzone.
Sembra che tutto sia sospeso, un po’ come nelle foto che sembrate privi di emozioni. Come se tutto fosse asettico in questa vita… che mi dite?
Questo è interessante in effetti, pensando al fatto di aver intitolato quasi tutte le canzoni con verbi all’infinito, cosa che abbiamo deciso di fare legandoci a questa idea di “Singolare/Plurale”, nel senso che Smalto ricorda, desidera, dimentica, piange, ma lo fa all’infinito, come se avesse un’identità sfumata dal punto di vista del numero (numero grammaticale). Evidentemente sì, in qualche modo c’è qualcosa di indefinito e sospeso in questo progetto; noi mettiamo parecchia emotività, i testi sono molto personali e sentiti, parliamo di ricordi veri, di rapporti veri, di tristezze e rabbie vere, cose di fronte alle quali di certo non ci poniamo in modo asettico; ma forse mettiamo poi un distacco nel modo in cui ci presentiamo, perché effettivamente Smalto siamo noi due, ma Smalto ha anche una sua identità in qualche senso, e cerchiamo di non sovrapporre le nostre. Ma è una ricostruzione a posteriori che viene fuori dalla domanda, non è tutto ragionamento, ci sono delle cose che vengono fuori da sole.
Si procede per EP… ma un disco sulla lunga distanza? E qui ci starebbe bene il vinile…
In effetti mancava poco a fare un disco.. potevamo farlo, vero! Però noi abbiamo delle difficoltà logistiche nel lavorare, vivendo in due città diverse ma volendo comunque fare le canzoni stando insieme, vedendoci. Quindi finiamo per avere un ritmo piuttosto rilassato. Quando ci vediamo lavoriamo in modo molto serrato e veloce, ma magari ci vediamo una volta al mese. A queste canzoni abbiamo cominciato a lavorare già un paio di anni fa, ma una delle regole base di questo progetto, fin dall’inizio, è “niente fretta!”. Ce la prendiamo comoda, curiamo e approfondiamo i suoni e le canzoni fino a quando siamo veramente soddisfatti, e l’unica pressione che abbiamo è la voglia di farle suonare veramente come vogliamo che suonino. Con queste premesse magari per fare un disco passava un altro anno, e le canzoni ci invecchiavano in mano! L’EP è un buon compromesso, si riesce a far passare un discorso, a dare un’idea abbastanza ampia di quello che vogliamo fare; ma certo, in futuro nessuno ci vieta (speriamo!) di fare un disco. E chiaramente se si fa un disco vorremo fare un vinile, che rimane il modo più affascinante di ascoltare musica per noi.
L’omaggio ai Prozac… e qui si scavalcano gli anni ’80… comunque si resta ancorati ad un certo clima provinciale. Siete un po’ figli di quella scena o no?
Beh, noi siamo nati negli anni 80, e ci siamo “formati” nei 90. Sentivamo entrambi prevalentemente musica “anglofona”, con quel po’ di altezzosità adolescenziale che ti fa dire “io la musica italiana non la conosco proprio!”.
I Prozac+ sono stati però una band con una loro importanza: avevano un suono e uno stile molto particolare, avevano qualcosa di diverso rispetto a molta musica di quel periodo. Francesco soprattutto li ha ascoltati molto, e ha proposto di provare a rileggere la loro Betty Tossica facendola in qualche modo nostra, anche per motivi personali che ci hanno portato a incrociare storie simili a quella di cui parla la canzone. Sicuramente comunque c’è un legame anche con un certo clima provinciale, come dici: Francesco è di Battipaglia, e la dimensione in cui vive è molto presente nell’immaginario dei nostri testi, e d’altra parte provinciale è inevitabilmente il nostro rapporto anche con la musica inglese, americana. Però nella provincia, nel piccolo, c’è molto da indagare e da raccontare, perché poi le canzoni di Smalto raccontano di rapporti, di ansie e paranoie, di ricordi, delle cose che troviamo nelle nostre vite, e ci piace l’idea di avere uno spazio in cui possiamo pensare e raccontare le nostre cose, ci fa bene, è terapeutico.
Parlando di look… come vestite… come scegliete i suoni… come siete ogni giorno? Le cose si sovrappongono?
Domanda interessante! Dovremmo scinderci per rispondere bene, ma possiamo dire che ci vestiamo piuttosto male, ci riconosci facilmente dalle felpe col cappuccio se ci vedi in giro. Quindi poi, forse per contrasto, mettiamo un’enorme cura nello scegliere i suoni, almeno le canzoni cerchiamo di vestirle come si deve.
Cercando di rispondere trovando elementi che ci accomunino, potremmo definirci persone piuttosto semplici nel quotidiano, con i nostri lavori, le nostre famiglie, le nostre curiosità, ma persone che mettono attenzione e profondità in ogni cosa, cercando di puntare all’essenziale, alle cose che veramente hanno valore e importanza nelle nostre vite.
E viviamo entrambi un certo spaesamento in una società che facciamo fatica ad accettare, da tanti punti di vista: la fretta, la superficialità, l’individualità, l’indifferenza; abbiamo forse passato il momento in cui sognavamo di poter fare qualcosa per cambiare le cose, e cerchiamo di incidere nelle sfere in cui possiamo incidere, nei nostri affetti, nelle relazioni. Forse qui si sovrappongono i piani, perché è questo il modo in cui ci dedichiamo alla musica; con passione e cura, con la voglia di fare bene a prescindere da tutto, da quanti la ascolteranno, da come la ascolteranno. Noi le cose le vogliamo fare come crediamo che tutti le debbano fare, questo vale nella musica e vale nel quotidiano, perché se ancora possiamo incidere in qualche modo è dimostrando a chi abbiamo intorno che bisogna avere cura.
E visto che parliamo di identità: questo disco indaga gli altri o serve a rintracciare la vostra?
Sicuramente è più focalizzato sulla nostra, ma indagando la nostra speriamo che chi ascolta abbia modo di interrogarsi sulla propria. Di partenza, come dicevamo, Smalto è uno spazio in cui vogliamo avere la possibilità di parlare di noi, per noi, tra di noi, ma poi le canzoni speriamo di non sentirle solo noi, e chiaramente ci rivolgiamo a chi le ascolta.
Non abbiamo certamente pretese di universalità, ma è vero pure che ogni storia se viene ascoltata ha dei caratteri di universalità: è l’importanza dell’ascolto, perché ascoltando storie di altri ci si fanno domande, si riflette.
Cerchiamo ovviamente di fare in modo che ci sia un punto di vista (la prima canzone si chiama “sotto un’altra luce” anche per questo, come se proponessimo a chi ascolta di leggere le cose da un qualche altro punto di vista), che ci sia uno stimolo nel leggere le cose di cui parliamo: la nostalgia, i rapporti di coppia, le aspettative, la dipendenza, tutti i temi che escono dalle canzoni. Alla fine questo “io” narrante sfumato e indefinito di cui dicevamo prima è come se fosse un contenitore aperto, noi lo usiamo per indagare su di noi, ma il fatto che in fondo questo io non esiste forse lascia spazio a chiunque di farne ciò che vuole!