di Giovanni Flamini.
foto da gallery Siren Festival by Giulia Razzauti – Liliana Ricci – Lucia D’Amato.
Anche quest’anno si è consumato quel rito provincial-rockettaro del Siren Festival e le sorprese sono state tante ed entusiasmanti. Il festival abruzzese, giunto ormai alla quinta edizione, si conferma una kermesse di spicco, capace di insidiare compagini più grandi e blasonate e di far intendere che anche la provincia, specialmente quella a meridione del Po, ha tanto da dire. Quest’anno gli ospiti sono stati tanti e variegati, fra nomi emergenti, artisti affermati e mostri sacri. L’organizzazione, come al solito, è stata capillare. Anzi, forse quest’anno si è addirittura superata, dato che grazie alla redistribuzione degli orari è stato possibile seguire pressoché tutti i concerti. Ciononostante, l’impressione generale di molti è stata quella di un’affluenza minore rispetto alle passate edizioni. Ma forse questo è il prezzo da pagare quando si vuole puntare su nomi più di nicchia (l’anno scorso c’erano Ghali e Baustelle, quest’anno Slowdive e Cosmo, per dire). Ma tutto questo non ha influito sulla perfetta riuscita di un festival stimolante e, soprattutto, divertente. Noi abbiamo provato a stilare le pagelle dei concerti in cartellone, promuovendo, bocciando e dando la sufficienza agli artisti che si sono esibiti. Perché se l’organizzazione è stata perfetta, lo stesso non si può dire di tutti i concerti che si sono alternati sui palchi. Per cui, ecco i tabelloni della maturità del Siren, tutti firmati rigorosamente Exitwell.
I PROMOSSI
I concerti entusiasmanti sono stati tanti. Alcuni sono stati quelli del Main Stage di Piazza del Popolo, altri quelli del Cortile D’Avalos. Gli Slowdive hanno reso onore al loro nome con un concerto spettacolare e altamente immersivo, che nonostante una leggera sensazione di rottura di palle, ha regalato sfaccettate e complesse emozioni al pubblico. Cosmo, invece, si è preso ufficialmente il titolo di Re della Festa, con un concerto bellissimo a metà fra un after a Riccione e un rito sciamanico con l’ayahuasca. Osho in pista al Cocoricò. Già, perché partendo dai pezzi più intimi e personali, Cosmo guida il suo pubblico mano nella mano in un percorso di autoanalisi fino ad arrivare alla catarsi finale dell’Ultima Festa. Fantastico.
I 2manydjs, invece, hanno proposto un set bellissimo, mandando in visibilio il pubblico con la tripletta da urlo in chiusura composta dai remix di Let It Happen dei Tame Impala, Girls & Boys dei Blur e Blue Monday dei New Order. Fra i promossi ci sono anche i dEUS, che per quanto siano stati fantastici, hanno dimostrato ancora una volta quanto il rock sia morto, data l’impossibilità di un pubblico anestetizzato di muovere il culo sui riff di chitarra elettrica (ma pronti invece a scatenarsi su una cassa dritta).
I Bud Spencer Blues Explosion hanno incendiato il cortile d’Avalos, facendo recuperare alle chitarre distorte un po’ dei punti che il pubblico dei dEUS aveva fatto perdere loro.
I BOCCIATI
Fra i bocciati, invece, troviamo perlopiù alcuni dei nomi emergenti presenti al festival. Per quanto sia pazzamente innamorato di lei, Myss Keta ha deluso e non poco, mettendo in scena un’esibizione meticcia che solleva molti dubbi sulla sua stessa ragion d’essere: la figura della Signorina Ketamina si avvicina a quella di una vocalist e una volta terminata l’esibizione non si capisce bene a cosa si è assistito, se c’era motivo di assistervi, se valeva parte del costo del biglietto e se il genere umano abbia ancora qualcosa da raccontare.
Il concerto dei Mouse On Mars, invece, è interessante, ma anche qui si palesa un dubbio amletico: se si produce musica elettronica che non sia dance, ha veramente un senso riprodurla live? L’elettronica dei Mouse On Mars è una moderna musica da camera, ma il senso di riproporla dal vivo non ha fondamento. Non la si può ballare, né tantomeno la si può assaporare come la si assapora a casa. E, soprattutto, non è suonata. Per cui, a che pro?
LE SUFFICIENZE
Questa categoria è particolare, perché è riservata ad un solo concerto, che è riuscito a strappare la sufficienza nonostante la delusione in cui ci ha fatto incappare. Sì, stiamo parlando proprio di lui, di Johnny Rotten e dei suoi PIL, che hanno chiuso gli eventi del Main Stage con un buon concerto di metà anni ’80, non certo di 2018. Certo, Johnny è un mostro sacro e non si può pretendere che continui a cambiare abito e a fare il trasformista a 60 e passa anni. Ma il rischio di trasformarsi in uno dei vecchi tromboni che lui stesso insultava 40 anni fa è grande. Sul palco aveva una sputacchiera personale per buttare fuori il catarro che si accumulava fra una canzone e un’altra e il suo repertorio era quello classico dei PIL. Il che non è un problema in sé e per sé. È un problema se sei Johnny Rotten e hai costruito la tua fama sul ripudio di tutto ciò che è vecchio e stantio, finendo per diventare vecchio e stantio anche tu. Ma forse è solo in attesa di qualche ragazzino che arrivi e lo mandi a farsi fottere. Proprio come lui ha fatto a vent’anni.