– di Naomi Roccamo –
È il 5 maggio 2021 e, una volta entrata su Zoom per accedere alla presentazione di Paesaggio dopo la battaglia riesco a cogliere bene il significato di una delle frasi della canzone di apertura, “26000 giorni”: “Siamo diventati adulti per tentativi“.
Anche Vasco Brondi, dopo essersi lasciato alle spalle Le Luci della Centrale Elettrica, nel nome e non negli strascichi di speranza che continua a raccontare, è diventato adulto; non vedo più quel punk e quella rabbia, non vedo più la “Cara catastrofe”. Il dramma ha lasciato spazio, forse un po’ a malincuore, a una serenità, appunto, adulta. Sotto ai ponti sono passati anni e drammi e non c’è più spazio per loro, non può più esserci perché il riguardo nei loro confronti era anch’esso carico di amore e quel volto quasi ingenuo non gli rende più giustizia. Era una vita altrove.
Eppure, come da sempre sa fare, ci parla delle stesse storie, quindici anni dopo, storie collettive e personali insieme, battaglie, paesaggi che sono sia interiori che esteriori, come quello in provincia di Ferrara che vediamo in copertina, immortalato da Ghirri , sempre fedele a quei luoghi che hanno sempre vissuto nelle canzoni. Quello in foto è uno di quei posti in cui sembra non succedere mai nulla e invece lì, quel Pandino che esce traballante da una nuvola nera diventa magicamente epico. Da quella nube nera che è stato l’anno scorso ci è uscito anche lui, in maniera fiduciosa, come un gatto pronto a sgattaiolare per cercare un posto al sole. Ma, aggiunge, se i gatti hanno sette vite allora gli esseri umani ne hanno settecento e devono solo essere guidati nel trovarle.
Parla della capacità che ha l’Italia di rialzarsi dopo grandi tragedie; ecco, forse quello non può togliercelo nessuno. L’Italia è presente in questo disco con le sue acque torbide, quelle dell’Adriatico, in cui proprio lui andava a rigenerarsi da più piccolo (qui c’è anche una collaborazione poco casuale con l’arrangiatore degli Extraliscio, suoi conterranei). Forse è qui che avviene l’incontro con le Canzoni da spiaggia deturpata, con quei cinque amici in 4 km di città e le loro cose impresse come orme sulla sabbia. C’è dentro l’Italia di Fenoglio, quella dei partigiani, ma anche l’Italia dei riders, quella schiacciata dalle sue stesse mancanze e risollevata dalle soluzioni alternative.
“Chitarra nera”, il primo singolo estratto, ci riporta lì e prova ad esorcizzare il passato, per ricominciare dopo due anni in cui nulla veniva scritto da Brondi. Il videoclip è affidato alla regia di Daniele Vicari e alla performance di Elio Germano, proprio come era stato pensato da subito. È un tentativo di uscire dalle luci della città per immergersi in quelle degli uomini. Parla anche di un disco in cui la sacralità viene inserita per la prima volta, anche grazie all’uso dei cori, ma a chi in questi anni si è lasciato cullare dalle sentenze di Terra, dalle Costellazioni (ma anche da ciò che risale a molto prima, a quando i titoli degli album erano più macchinosi e meno concettuali) suonerà familiare un certo senso di preghiere e speranze inesauribili.
Era indispensabile seguire una direzione, la mia direzione. Senza sentirmi in obbligo di dover stupire. Ogni disco è un’evoluzione. Ho seguito la possibilità di essere autentico. Mi trovo bene nell’intimità.
Fuori tempo dalle aspettative, dalle velocità odierne Paesaggio dopo la battaglia viene partorito in quattro anni, come un’eco delle cose trascorse. Due sono effettivamente il frutto di un tempo dedicato alla scrittura, due sono lo scenario di una disillusione prima personale, poi musicale. Dice di non credere nelle esperienze che si convertono subito in canzoni, ma di credere che nelle canzoni c’è tutto, anche una passeggiata. Alcune canzoni sono scritte durante il lockdown, alcune prima: “Ci abbracciamo” è stata scritta quando gli abbracci erano vietati, “Due animali in una stanza” è la storia non della prima, ma della trecentesima notte insieme, quella fra due persone che si dicono ancora e celebra la “quiete accesa”, come dice Ungaretti. “Il sentiero degli dei” chiude il disco e rimette l’uomo nella giusta prospettiva: “Siamo solo due forma di vita nel terzo sistema solare“.
Siamo stati così abituati a abbiamo così introiettato il modello delle macchine al punto da essere frustrati se non produciamo costantemente, ma siamo governati dalle leggi della natura e da sempre rispondiamo a dei cicli. Ancora una volta Brondi giustifica l’essere umano in quanto tale, cioè una creatura sempre meno adatta a questo mondo, qualcuno che alterna momenti di sconforto a momenti di speranza e va perdonato per questo. Ringrazia poi i dettagli, perché, anche se si contraddicono, sono tutto quello che ci rende meravigliosamente reali.