Per abbreviare questo articolo partirò dal presupposto che tutti voi sappiate cosa sia la SIAE, a cosa serve, come sia strutturata. Se non conosceste queste basilari informazioni potete attenervi a quelle riportate sul sito www.siae.it. Io invece voglio approfondire cosa fa, nello specifico, questo ente per la musica emergente: niente.
La SIAE è un vincolo imponente alla diffusione della musica quando questa non nasconde grandi interessi economici, ha un costo di iscrizione annuale arrivato a circa 160€, che molto difficilmente viene coperto dai diritti percepiti per le esibizioni per due motivi fondamentali: il primo è la ripartizione a campione dei proventi, che praticamente distribuisce i soldi che loro prendono dal locale che organizza una vostra serata anche tra altri autori (purtroppo noti); il secondo è la regola che gli impone di pagare per una serata non oltre un quinto del programma svolto al direttore dell’esecuzione (nome pomposo per individuare il componente del gruppo che firmerà il borderò). Quindi quando si suona musica propria si è penalizzati!
Giustifico le mie prime affermazioni (personali ma con fondamenti documentabilissimi nei fatti) raccontandovi una storia.
Oltre ad essere un musicista che suona brani di sua composizione organizzo concerti riservati alla musica originale. L’estate scorsa, dovendo organizzare alcune serate musicali, mi reco in SIAE per avere qualche informazione e preventivo. Il mandatario della zona dove si sarebbero svolti gli eventi mi spiega con un grande uso del “devi” come vanno svolte le pratiche e ci accordiamo per una quota “concertino”. Per raccogliere fondi per pagare i cachet intanto organizzo qualche serata di musica non tutelata dalla SIAE, per le quali so, per informazioni prese in precedenza, che loro non hanno alcuna competenza.
Qui accade il fattaccio! Il mandatario con un profilo Facebook fasullo viene a controllare le mie azioni, mi convoca nel suo ufficio chiedendo scontrosamente lumi, gli spiego che gli autori che si sono esibiti non erano tutelati e lui ditutta risposta mi dice (contrariamente a quanto mi aveva detto un dirigente della sede centrale qualche mese prima) che sono obbligato a richiedere il permesso e a compilare il programma musicale (borderò) dalla legge, che dovrei studiare prima di fare come mi pare, che il reato da me compiuto è penale e questo tentativo di truffa mi faceva perdere il diritto alla quota ridotta del “concertino”, raddoppiandomi i costi degli eventi futuri. Io insisto con le mie motivazioni ma lui non vuole sentire ragioni, costringendomi alla fine ad annullare tutti gli eventi in programma, anche quelli di autori non tutelati, chiedendomi una cifra spaventosa al di fuori dell’ipotetica restituzione.
Io, arrabbiato e deluso, non avendo più molto da fare per sopravvivere all’estate, mi metto a studiare la legge 633/1941 sul diritto d’autore, perdendo il mio tempo in telefonate alla sede SIAE di Via della Letteratura dove anche l’ultimo dei centralinisti si permette di dirmi come e cosa dovevo fare sulla base di niente, “si fa così e basta”. Intanto dalle email spedite ai loro vari uffici cominciavano ad arrivarmi risposte generiche e beffarde, dove articoli di legge venivano presi e copiati per inviarmeli in risposta alle mie domande. Io analizzavo l’articolo ed ogni volta scoprivo che nel copia e incolla si perdeva qualche parola determinante, tipo “protette” o “tutelate”. Lo faccio notare e sempre per iscritto mi arriva un bell’articolo del regolamento di attuazione della legge 633 (l’articolo 51 per la precisione) che pare inchiodarmi, obbligando tutti coloro che riproducono opere musicali di qualsiasi genere alla compilazione del programma (quindi alla richiesta del permesso) e ai versamenti cauzionali. In preda allo sconforto riprendo tristemente le analisi svolte cercando il cavillo. La mia compagna, che è avvocato e stava seguendo la vicenda da spettatrice, si rimbocca le maniche e scopre che questo santo art. 51 fa riferimento all’attuazione dell’articolo 175 della legge 633, abrogato nel 1996, quindi anche il 51 risulta abrogato riguardando una norma che non esiste più. Intanto dal mio blog continuo ad informare quanti si erano appassionati al caso ed alla notizia dell’abrogazione, si smuove qualcosa di maestoso, dapprima Patamu (organizzazione concorrente alla Siae) mi chiama e dà visibilità con degli articoli al mio caso, da lì cominciano ad occuparsene tutte le più importanti testate web musicali ed addirittura quelle che si occupano di legge, ciò grazie a Simone Aliprandi, uno dei massimi esperti di copyleft e creative commons in Italia.
A quel punto mi ritrovo su Rockit, Rockol, Medialaws, Laleggepertutti e su un’infinità di blog specialistici, poi approdo su IlFattoQuotidiano e su L’Espresso ed infine un parlamentare scrive una lettera alla dirigenza SIAE (a Blandini in persona) chiedendo lumi.
Pochissimo tempo dopo, nel silenzio generale degli organi competenti della SIAE, un angelo di nome Valter commenta uno dei miei articoli del blog con una lettera della SIAE risalente al 2006 con tanto di numero di protocollo (prot. 2/1346/PS) che smentisce tutti i mandatari e i centralinistisentiti fino ad allora, dove la SIAE stessa dichiara che in caso di esecuzione di musica di pubblico dominio, tradizionale e non tutelata, si può essere tenuti su richiesta solo ad un’autocertificazione, quindi nessun costo, perché qual è il trucco se poi i soldi del permesso come dicono loro te li restituiscono? Il trucco è che nei costi del permesso ci sono varie spese di istruttoria della pratica che non vengono restituite, quindi l’ufficio SIAE si trattiene indebitamente cifre che non gli spetterebbero secondo nessuna legge!
Ad oggi la SIAE non si è pronunciata nonostante le voci levate dai più e volte a far capire che ci sono tutti i termini per un risarcimento dell’indebito pagamento… Concludo con due parole ed un consiglio, a parte l’esuberanza tutta italiana di chi ricopre un semplice compito amministrativo e al limite di sorveglianza e si sente invece un Rambo alla ricerca dei cattivi da punire, si capisce come alcune lacune legislative rendano questo Paese da tanti punti di vista ingovernabile, nell’epoca di internet stiamo ancora ad interpretare articoli del 1941, ed ancora qualcuno crede che essere iscritti alla SIAE dia un aspetto più professionale a quello che fa. La SIAE è un vincolo alla diffusione della musica emergente, perché chi si iscrive non è più libero neanche di regalare un suo brano per beneficienza, perché se non si fanno cinquanta concerti l’anno non si vedono soldi per diritto d’autore, perché in caso di plagio la SIAE rimanda tutto ad un giudice quindi non riconosce alcuna certezza di paternità dell’opera, perché se siete autori ed un locale vuole farvi suonare e la SIAE gli chiede 150 euro di permesso come se voi foste Ligabue il locale non vi farà mai suonare. La soluzione? Non iscriversi, almeno finché le cose non cambieranno e la SIAE non si aggiorni. Il non iscritto non perde il diritto d’autore, la legge riconosce la possibilità di farlo valere da soli, quindi andate a prendere la serata in un locale (ovviamente se eseguite SOLO musica non tutelata) e dite al gestore che siete esenti SIAE, ed il vostro diritto d’autore ve lo fate riconoscere sul cachet! Facile e conveniente!
Andrea Caovini