– di Giacomo Daneluzzo.
Ph. Simone Cecchetti –
Arrivo alla Santeria, dove più tardi si terrà la presentazione del nuovo album del Management, Sumo. M’indirizzano in una piccola stanza in cui è stato allestito un palco con delle sedie per il pubblico e mi dirigo a uno stand in fondo in cui si vendono le copie fisiche del disco. Qui mi accolgono Luca Romagnoli (voce e testi) e Marco Di Nardo (chitarrista, tastierista e produzione musicale), e dopo aver chiacchierato un po’, parlando dei dischi che ci saremmo portati su un’isola deserta, inizia l’intervista.
Il 13 novembre è uscito Sumo, che ho avuto la fortuna di ascoltare in anteprima e recensire (leggi qui la recensione del nuovo album del Management). Dall’inizio sono cambiate un po’ di cose: nome, formazione, etichette discografiche… Penso che si possano individuare due periodi principali, nella vostra produzione: il primo nichilista, incazzato, con musiche graffianti e critica sociale; con questo disco si è aperta una nuova fase, forse accennata già nel precedente. Da che cosa è partita quest’esigenza di approdare a una nuova fase creativa?
LUCA | Dopo anni forsennati di dolori post-operatori, tour, schizofrenie, serate folli, abbiamo deciso di prenderci una pausa riflessiva. Era il caso di tirare un po’ le somme, perché se non ti fermi mai non puoi renderti conto di dove sei arrivato e dove vuoi arrivare. Ci siamo fermati un attimo e ci siamo messi a pensare quale volevamo che fosse il prossimo passo. Anche se abbiamo sempre cambiato parecchio da un disco all’altro, non è sbagliata questa visione dei due momenti, soprattutto dal punto di vista dei testi. Quando sei giovane ti senti immortale, vesti la maschera del supereroe; a un certo punto ti fermi e dici: “Aspetta. Adesso ho un’altra età, degli altri bisogni, ci sono altre cose che mi fanno male. Ho più bisogno di spazio, di solitudine, di silenzio”… Inizi a pensare a tutt’altro ed è così che è uscito un disco molto intimo. Avevamo bisogno di quest’approccio e ci siamo resi conto che era questo che volevamo dire.
MARCO | Non ci siamo svegliati una mattina dicendo: “Ok, adesso facciamo un disco malinconico”. Sono successe molte cose nelle nostre vite che ci hanno portato a una certa scrittura e a una certa composizione. Per un fan potrebbe essere spiazzante, ma era da due anni che scrivevamo queste canzoni, le abbiamo interiorizzate e ora stiamo cercando di trasmettere tutto questo. Noi siamo di Lanciano, che è la provincia della provincia, dove spesso si fanno cose “per noia”. Noia, voglia di provocare: così volevamo fare un disco di un indie-rock articolato, abbiamo fatto McMAO, volevamo fare un disco rock, abbiamo fatto I Love You. Non siamo mai rimasti nella comfort zone. Quest’ultimo disco, invece, direi che prima di tutto è un disco per noi, poi anche per chi ha voglia di accompagnarci in questo passo importante.
LUCA | Se uno poi ha una visione d’insieme del nostro percorso capisce che accorciare il nome, cambiare totalmente genere, discorsi e approccio e ripresentarsi così è la provocazione più grande che potessimo fare, quello che meno ci si sarebbe aspettato da noi.
Avete parlato della provocazione; abbiamo un grande cantautorato di protesta, in Italia, con un filo che passa per De André, Bertoli… e che arriva fino al Management. Quali sono i provocatori che più vi hanno ispirato, nella musica o anche in altri ambiti?
MARCO | Maradona! (ride)
LUCA | Comincerei da Antonin Artaud e Carmelo Bene. Poi Bukowski, una lettura quasi obbligatoria. In Italia Freak Antoni, più in generale il punk e quel tipo di approccio. I CCCP e Rino Gaetano, in una forma di protesta forse più pop.
MARCO | I Devo e i Rolling Stones. Nella diatriba Beatles/Rolling Stones io mi sono sempre schierato con loro, perché personificano quel mio lato lì. Col senno di poi però se non ti piacciono i Beatles non sei una persona normale.
LUCA | Poi questo mito dei “bravi ragazzi” va sfatato perché le provocazioni che hanno fatto i Beatles lasciamole stare. Sono il gruppo più famoso del mondo, ma la maggior parte delle persone non sa che cos’hanno fatto davvero. Si sono inventati tutti i generi, dal pop, al prog, al metal… Ma anche il modo di lavorare in studio. Si pensa alle canzonette e non a tutto quello che hanno dato alla musica. Per non parlare delle provocazioni, come quando hanno detto di essere più famosi di Gesù…
Come siete arrivati, dopo tantissime etichette, alla Full Heads?
MARCO | La Full Heads è a Napoli e Napoli è come la luna. È diventata la nostra seconda casa.
LUCA | Ci siamo affidati alla città di Napoli. De Filippo disse che “Napoli è un teatro a cielo aperto” ed è vero: tutti, senza avere una parte, senza saper recitare, sono attori. È un teatro immenso e il caos di Napoli è arte: le urla, la malinconia, l’amore… L’espressione dei sentimenti umani è portata all’estremo. Elvis Presley, il Re del Rock, ha reinterpretato delle canzoni napoletane.
MARCO | Napoli è anche la città della musica d’autore. E noi riteniamo questo disco un disco cantautorale; certo, suonato con strumenti elettrici ed elettronici, quindi elettro-cantautorale, ma per noi è un onore definirlo un disco cantautorale.
LUCA | Giuseppe Veneziano, un grande artista che ha fatto la copertina di McMAO, ci ha detto che quando riconosci la melodia della tua terra non puoi più scappare, quello sei tu. Vai in un posto e le cose importanti sono il cibo e la musica popolare, la tradizione alla fine è questo. Ognuno di noi ha una nota, ogni posto ha la sua armonia. Questo disco secondo me è neoclassico: Marco nella produzione è molto internazionale, gli ha dato un piglio moderno, nuovo, ma l’approccio ai testi e il modo di cantare è cantautorale, è italiano. Un bell’esempio, secondo me, di cantautorato italiano.
Da una traccia all’altra le sonorità utilizzate variano moltissimo, che ricerca c’è stata?
MARCO | Siamo impazziti. Abbiamo scritto tantissimi brani e questa è una scrematura agli ultimi sgoccioli. Ho fatto un lavoro centellinato di ricerca per estrapolare un minimalismo che si amalgamasse alle parole ma che desse anche risalto ai testi. Come la luna ha una storia diversa, era già prodotta ma non ci piaceva, la volevamo escludere. Poi ho detto: “Provo a farla acustica”, l’ho ascoltata e si è trovato questo compromesso. Ma comunque partiamo sempre dalla musica. Io do a Luca un sacco di roba che non vedrà mai la luce e la cosa assurda è che quando scrivo una canzone io non so di che cosa parli, è un sentimento intimo che può far scaturire qualcosa in lui; ma non è affatto detto.
LUCA | Vengono prima le musiche, perché per me è inutile guardare un foglio bianco e cercare ispirazione, quando la musica è la più grande fonte d’ispirazione che esita. Ci sono anche musiche bellissime che abbiamo ripreso dopo anni, perché quando sono nate non mi stimolavano niente. Così facendo si crea un’unione fantastica tra testo e musica. Siamo in due e io non voglio che Marco si senta limitato: a lui interessa l’emotività che scaturisce dalla musica a livello armonico e io aspetto quello perché stimola me, con il mio bagaglio di emozioni, che posso tirare fuori. Non sono capace di esprimere le emozioni di altre, altri lo sanno fare, De André sapeva farlo benissimo. Io mi faccio influenzare completamente da Marco ed è questo il bello. L’emotività di una canzone, anche se viene fuori dai testi, è già latente nella musica. Per questo motivo Sumo sembra scritto da una sola persona. Io e Marco siamo una sola persona.
MARCO | Deve per forza esserci un rapporto di rispetto e di fiducia. Luca sa che cosa mi dà fastidio e io sono stato il primo a dirgli: “Basta politica, non ci appartiene più, adesso parliamo di emozioni”.
LUCA | Parlando di politica si può anche partire da un argomento specifico, ma l’approccio “emotivo” è molto più libero, perché le emozioni sono infinite.
MARCO | Ad esempio, se gli dico che secondo me una parola non è musicale lui la cambia. Se un testo non mi convince non è che lo riscrive, ma resta lì e facciamo altro.
LUCA | Non vogliamo salire sul palco con qualcosa che non emoziona entrambi. Ci conosciamo dalla prima elementare, non è che ci diciamo a vicenda: “Non mi piace, facciamo quello che voglio io”, che è il motivo per cui litigano tutti i gruppi. Marco se una canzone con me non va in porto dice: “Va be’, ne scriveremo un’altra che sarà ancora più bella”, e lo stesso per il testo, se non ci soddisfa so che posso scriverne altri.
MARCO | È una figata quando a distanza di anni le canzoni dicono ancora qualcosa. Ad esempio Luca non cita mai cose come Facebook e Instagram…
LUCA | Non uso mai parole chiave di un periodo o nomi di politici. Piuttosto, Bukowski si può nominare perché è morto ed è una leggenda.
Quindi avrete un enorme archivio di file e file da pubblicare quando sarete morti…
LUCA | Certo, usciremo postumi!
MARCO | Quando parto lascio sempre l’hard disk in bella vista sulla scrivania con scritto: “Nel caso aprite, non c’è nessuna password”
LUCA | Io non c’ho niente, sono così disordinato che nessuno troverà niente e non si parlerà mai più di me! (ride)
Uno dei temi più presenti in Sumo è il discorso sul tempo e sui ricordi. Avete qualcosa da dire ai voi stessi del 2006, quando avete fondato il Management del Dolore Post-Operatorio?
LUCA | Un consiglio per loro sarebbe questo: se hai un “credo” e non lo rispetti le cose non funzionano. Spesso qualcuno dalle alte sfere della discografia ci ha promesso questo mondo e quest’altro… Il nostro credo è: sedersi a scrivere, produrre, arrangiare, suonare, registrare. Un disco per noi è un percorso, soltanto dopo tra le tracce ne puoi scegliere una più adatta a presentarti, un singolo, ma il disco in sé è un progetto che racconta un periodo che rimane in tutte le sue tracce. Se qualcuno vuole portarti fuori dalla tua idea di disco, fuori dal tuo mondo, vuol dire che ti stanno facendo sbagliare – anche se la tua idea è diversa dalla nostra, non è che la nostra sia quella giusta, eh.
MARCO | Capita spesso che ti dicano di presentarti con qualcosa di più orecchiabile, dicendo: “L’hai scritto tu”, e sì, l’ho scritto io, ma nel contesto del disco, non per forza voglio presentarmi così. È normale che le etichette vogliano farti sfondare, ma non è detto che sia più giusto per te. Questo non succede solo nelle “alte sfere”, ma anche con le etichette piccole, anche se per fortuna non è stato il nostro caso.
LUCA | Sono successe cose piccole, qualche volta, fortunatamente mai a livello indipendente ma solo quando ci siamo incontrati con il mainstream e le major. Poi nessuno ti obbliga mai a fare niente, ma arrivi a pensare di dover fare delle cose e questo è sbagliato. Ma nell’arte gli errori sono la benzina e la creatività si basa su questo processo: sbagli, sbagli, sbagli. Dopo aver sbagliato cento volte prendi la strada giusta. È quasi impossibile azzeccarla al primo tentativo.
MARCO | Il mio consiglio è di partire dal basso, fare quello che ti piace e che ti rappresenta. Ti fotti se pensi che devi vincere Sanremo, deve conoscerti la mamma del tuo amico, altrimenti non sei nessuno.
LUCA | C’è solo il tuo percorso. Se qualcuno vuole portarti fuori dal tuo percorso ci perdi tu, a prescindere dai risultati. Qualcuno si è sparato in bocca, per questo.
Com’è cambiato il mondo della discografia negli ultimi anni?
MARCO | L’indie è entrato a gambe tese nel mainstream. Il mainstream attinge dall’indie perché ci sono più risorse, nel pop c’erano solo dinosauri, mentre l’indie sa trasmettere al pubblico, soprattutto ai giovani, in un modo diverso.
LUCA | Meno male che c’è l’indie, la musica si sta rinfrescando.
MARCO | È bello anche che siano nate tante etichette… Prima nessuno ti dava i soldi per fare queste cose. Adesso però anche le etichette vogliono sfondare, quindi bisogna stare attenti.
LUCA | L’indie è diventato pop, sono scomparsi i dinosauri e doveva succedere. I giovani sentono sempre il bisogno di distinguersi. Adesso è nata la trap, e meno male! Ha portato nuovi linguaggi, nuovi modi di produrre, ha davvero cambiato la musica nel mondo… Sia benedetta la trap! Ma prima o poi, magari tra qualche anno, arriverà qualche giovane che si staccherà dalla trap perché ormai tutti saranno trap, e qualcuno capirà che quello è un figo. I giovani vogliono distinguersi, sempre, e per questo la musica si rinnoverà per sempre.
MARCO | Invece una cosa assurda è che molti fanno un disco, lo mettono online e quel disco non viene mai suonato.
LUCA | Ma questo l’hanno fatto anche i Beatles! (ride)
Ho avuto l’impressione che abbiate voluto staccarvi dalla scena indie, rendervi meno etichettabili. È vero? Dove vi collocate nel panorama attuale?
LUCA | Io direi neoclassico, o anche elettro-cantautorale. È quello che dicevamo prima. Prendi Canova – non la band, lo scultore – che è neoclassico: si ispirava all’arte classica ma quello che faceva era nel suo tempo, era innovativo. Per noi è lo stesso: ci siamo ispirati alla grande musica italiana per scrivere in quel modo, una scrittura emotiva, forte. Non c’è lo “slang” dei giovani perché non siamo giovani. Marco ha attualizzato il tutto con una cultura musicale internazionale.
MARCO | Io direi che quest’album è un incrocio tra Kalkbrenner e Tenco. All’università i miei coinquilini ascoltavano tanta musica e – mi vergogno a dirlo – io ho scoperto i Radiohead in quel periodo, perché volevo ascoltare The Wall e, mettendo su il loro CD, ho pensato: “Questi non sono i Pink Floyd…”, e infatti era OK Computer. Da lì Arctic Monkeys, Franz Ferdinand…
Parliamo del Giappone. La copertina di Sumo è un richiama alla bandiera giapponese e alla Luna rossa di Murolo. Come entra il Giappone nel vostro disco e nella sua copertina?
LUCA | C’è una parola giapponese, “Hinomaru”, che è il nome della bandiera del Giappone e vuol dire “disco del sole”. La palla rossa della bandiera infatti sarebbe il sole, ma noi abbiamo messo la luna perché è un richiamo poetico immediato, oltre al fatto che nello studio è stata registrata la Luna rossa di Murolo. Sulla copertina eravamo sicuri. Veniamo dalla provincia della provincia, siamo contemplativi; siamo quelli che si siedono su una panchina e guardano la luna, le montagne, la neve, il fiumiciattolo… perché è quello che abbiamo intorno. Le mode, lo slang… tutto questo da noi arriva molto meno e molto tardi, quindi se andassimo in quella direzione saremmo sempre in ritardo. Il nostro approccio è contemplativo e questo disco è pieno di luna, di stelle, di emozioni, di infinito… C’è ben poco di tangibile, il resto non ci interessa.
MARCO | Senz’altro posso dire che ogni nota è pesata con cura, niente è lasciato mai al caso.
Una cosa che mi ha sempre colpito dei vostri testi è che ci sia una rappresentazione della donna molto bella: avete parlato in passato delle difficoltà con cui le donne devono confrontarsi nella nostra società, ma anche quando è la figura amata emerge un ritratto della donna molto forte, indipendente dalla figura maschile e non è affatto scontato.
LUCA | Questa domanda è troppo difficile.
Se volete ne ho una su Nietzsche, v’ispira?
LUCA | No, no, lasciamo perdere Nietzsche…
MARCO | La donna è sempre stata svantaggiata in tutto. Nel mondo della musica c’è, oggi, il desiderio di dare più spazio e risalto alle donne. Nella storia, essendoci sempre stato un maschilismo di fondo, ci sono sempre stati più artisti uomini; negli ultimi tempi sto notando sempre più donne nel mondo della musica e questo è positivo. Noi, poi, siamo sempre stati legati a un discorso sulla libertà del corpo…
LUCA | Parlando dei nostri dischi e di come abbiamo parlato della donna, c’è da sempre un filo conduttore che lega i nostri dischi, ovvero il tema della libertà. Amiamo la libertà e se non ami la libertà altrui non ami davvero la libertà. Amiamo la libertà di ogni donna e di ogni uomo, di ogni persona con i suoi gusti sessuali, con le sue tradizioni e le sue caratteristiche. In questo momento storico c’è bisogno di ribadirlo, perché anche se siamo nel 2019 c’è gente che ragiona come nel Medioevo: è sempre il caso di ribadire certi temi. Quindi ribadire che questa libertà ci interessa è importante, soprattutto perché chi non è libero non può essere felice. Tante donne lo stanno facendo, è la loro battaglia e sarà la battaglia dei prossimi anni, perché è una cosa fondamentale e il mondo ne ha bisogno; ma secondo me è anche bello che lo sottolineino degli uomini. Noi vogliamo dire che siamo con loro e con questa libertà, perché senza questa libertà non siamo liberi neanche noi, non siamo felici. Per questo come gruppo noi ci presentiamo con la piena affermazione di questa libertà e in questa battaglia siamo i tifosi, i fan numero uno delle donne che affermano la propria libertà
MARCO | Posso dire una cosa che apprezzo molto della poetica di Luca, da fruitore: lo conosco da tanto tempo e so che nella sua lirica la donna è onnipresente, anche se non esplicitamente. Il tema della donna è trattato sempre con tatto, ma anche con ambiguità; la donna nelle sue canzoni è vista in ogni sua sfaccettatura, senza una visione fissa, e secondo me questa è una figata.
LUCA | Nella canzone collettiva Sessossesso il tema è il binomio “romantico-perverso”. Siamo liberi di amare, scopare, esprimerci, esagerare, contemporaneamente, e questo secondo me dev’essere scontato per tutti. Con chi vive nel Medioevo io non voglio neanche parlarci.
ANNUNCIATE LE PRIME DATE DEL TOUR del MANAGEMENT.
I CONCERTI:
07 febbraio PESCARA // MEGA’
14 febbraio TORINO // CAP10100
15 febbraio BOLOGNA // LOCOMOTIV
21 febbraio CONVERSANO (BA) // CASA DELLE ARTI
22 febbraio NAPOLI // GALLERIA 19
28 febbraio SEGRATE (MI) // MAGNOLIA
29 febbraio ROMA // MONK