– di Giacomo Daneluzzo –
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Si possono citare molti altri esempi di come il malessere emerga, in modo più o meno esplicito, praticamente in ogni traccia di Famoso. Per farne alcuni: “Questo sta pieno di euro, sta pieno di pare / Poveri i ricchi, son tristi, non sanno che fare” (Abracadabra); “Le dico ‘Ti amo’ e non provo niente / Volevo una tipa, queste modelle / Me la danno in fretta e non mi danno niente” (Macarena); “Russian roulette con trentatré colpi dentro la Glock” (Tik Tok); “E resto sveglio stanotte / Solo questa canna mi farà compagnia / Come tutte le volte / Che guardo l’ora e sono già le sei di mattina” (6 AM). Tutto questo per dire che qualcosa è cambiato; Sfera Ebbasta sembra essere artisticamente cresciuto ed emerge una nuova consapevolezza del successo, delle sue ombre e in generale un disagio esistenziale che forse appare preponderante rispetto agli album precedenti, in cui il disagio descritto era più che altro quello riferito alla vita di strada e alla povertà, tema trito e ritrito, al punto da essere percepito ormai come un vero e proprio cliché.
Questo fa di Sfera Ebbasta un artista “conscious”, un novello poeta maledetto con l’autotune, un cantore del disagio odierno che affligge la società? No, senz’altro non è questo il suo ruolo, in alcun modo, né il suo obiettivo è, probabilmente, esserlo; piuttosto un ragazzo, un paroliere e un personaggio, che pur restando coerente con la sua poetica e con le aspettative del suo pubblico ha trovato il modo di parlare della fase che sta vivendo, dei suoi demoni e dei lati “oscuri” di una posizione apparentemente molto invidiabile, che ha trovato la chiave per farlo in modo tutto sommato onesto, usando un tono che oscilla tra la volontà di restare in linea con i suoi pezzi precedenti e quella di non ripetersi eccessivamente. Per questo Sfera Ebbasta è Sfera Ebbasta e continuerà a esserlo ancora per molto; per questo Famoso funziona, in Italia sarà preso a modello per i dischi successivi di questo genere e influenzerà il canone nostrano della trap e del mainstream.
Rispetto a Rockstar (l’album precedente, risalente al 2018), Sfera ha saputo rinnovarsi, evolversi; e a convincere di questo non sono affatto le numerose collaborazioni internazionali (che di per sé non mi dicono molto, visto che la maggior parte degli artisti presenti nella tracklist forse accetterebbero di vendere una strofa o un beat anche a me, se li pagassi adeguatamente), né le sonorità accattivanti, realizzate da alcuni dei migliori produttori della scena italiana e internazionale, lavori sicuramente di fino, che ora risultano “fresh” anche per via di tutto l’hype creatosi attorno a Famoso, ma che “scadranno” nel giro di qualche mese. A convincere della sua capacità di rinnovarsi sono i testi, proprio quei testi impugnati dai detrattori della trap per portare avanti la tesi secondo cui questo genere sia il male, sia un vero cancro della società; e non sto dicendo che siano la Divina Commedia, ma solo che forse ci siamo sbagliati tutti, quando dicevamo che i testi trap non hanno senso, non dicono niente e si limitano a parlare di quei tre argomenti in croce. Perché sì, è vero, lo fanno e sono pieni di cliché, ma può esserci, di fianco a questo, dell’altro, ovvero una certa onestà nell’affrontare alcuni temi affatto scontati: penso che Famoso ne sia la prova.
A proposito della produzione, un plauso va al super team di produttori, ma in primis a Charlie Charles, che dalla sua posizione di direttore artistico ha saputo mettere insieme un album iper-commerciale ma molto raffinato, che riesce a muoversi molto bene tra i generi e che alle sonorità più tipicamente trap alterna influenze latine (Baby), pop-rock elettronico (Hollywood), synth pop anni ’80 (Giovani Re) e molto altro; un lavoro musicalmente davvero curato, più dei precedenti, nonostante sia evidente l’assenza della volontà di addentrarsi in territori musicalmente nuovi: i beat utilizzati risultano tutti decisamente “già sentiti”, per quanto ben realizzati, e forse in realtà per un album come Famoso non c’è alcun bisogno di proporre sonorità che il grande pubblico a cui è rivolto faticherebbe a digerire.