– di Giacomo Daneluzzo e Martina Rossato –
Siamo collegati su Zoom per la conferenza stampa di Serena Altavilla, dopo aver ascoltato Morsa, un disco molto particolare, a tratti cupo ma estremamente intenso, capace di trasportare l’ascoltatore nel mondo onirico dell’artista, grazie anche a un telaio sonoro realizzato da grandi musicisti provenienti da molti ambiti diversi. La conferenza inizia e l’artista appare emozionata, senza però smettere di avere i piedi per terra e le idee molto chiare sul suo progetto e sul percorso artistico che ha intrapreso e che, con quest’album, è segnato da un nuovo inizio.
Serena Altavilla, con un passato rock da frontwoman dei Blue Willa, presenta il suo primo album solista Morsa. L’artista, visibilmente emozionata, ce lo ha raccontato in una conferenza stampa che ha visto anche la partecipazione di Paolo Benvegnù. Il cantautore, che ha conosciuto Serena a Prato nel 2005, la descrive come “una giovane donna capace di fare una poesia bellissima, senza mai arrendersi alla disillusione”. Viene subito fatto presente il fortissimo legame dell’artista con la sua terra, o per meglio dire, le sue terre. Serena infatti vive a Prato, una “realtà unica, piccola ma molto ricca”, ma le sue radici sono pugliesi ed è cresciuta ad Orvieto. Parla delle sue terre come di un nutrimento, una grandissima fonte d’ispirazione per la sua musica.
Morsa è un disco molto sperimentale, il cui titolo è stato per l’artista una rivelazione. La parola “morsa” è infatti “sfaccettata e polivalente”, ben adatta a rappresentare il dissidio interiore che Serena stava vivendo nel momento in cui ha lavorato alle tracce che compongono il disco – i cui testi sono stati scritti con Patrizio Gioffredi. Con quest’album intende esprimere il suo stato d’animo e la stretta, la morsa, da cui si sentiva afferrata. I brani che vi sono contenuti sono stati scritti e composti circa due anni fa. Ora le sue emozioni sono cambiate, è cresciuta, ma rappresentano ancora appieno la sua persona. Essi sono il frutto di un’intensa ricerca all’interno di se stessa e sono nate per essere “canzoni per urlare, piangere, ridere, guardarsi allo specchio: esprimersi”; questo è ciò che la cantante vuole far arrivare al suo pubblico, pur in un periodo in cui rapportarsi col pubblico è diventato più difficile. A tal proposito, Serena ricorda quanto i concerti siano un momento sacro ed importante, sia per gli artisti che per il pubblico, e si auspica che si possa tornare a un momento di condivisione, anche se non ancora nei modi canonici che tutti conosciamo, magari in una forma che siamo più abituati a collegare all’ambito cinematografico. Anche in relazione a questo, Serena parla di una dimensione cinematografica e teatrale della musica, raccontando di aver avuto delle esperienze nel mondo del teatro, che le sono servite a sviluppare una personalità artistica a tutto tondo, ma che le hanno anche fatto capire quanto sia davvero a suo agio soltanto nella musica.
Per quanto riguarda la nascita di Morsa, racconta che il fil rouge che lega l’intero album è il nucleo melodico delle canzoni: a partire da una melodia composta su chitarra e voce, è pian piano nato l’album. Una particolarità è che i musicisti che hanno partecipato alle registrazioni non si sono mai incontrati dal vivo. Questo ha permesso a Serena di avvicinarsi ed entrare ancora di più nel mondo di ognuno di loro, dedicando molta attenzione a ciascuno strumento. Insieme al produttore Marco Giudici ha poi raccolto e ricucito le voci di tutto l’organico, facendo comunicare in questo modo gli artisti. Il tutto però senza mai perdere di vista se stessa. Il risultato è un disco poco commerciale, molto ragionato e sperimentale.
In tre momenti diversi della conferenza stampa vengono eseguite delle canzoni tratte da Morsa in acustico – “Epidermide”, “Un bacio sul ginocchio” e “Distrarsi” – che sono state registrate prima dell’evento e trasmesse in streaming per l’occasione: i suoi brani, già molto particolari nelle registrazioni originali, risultano estremamente particolari, grazie anche all’utilizzo di sonorità esotiche come quella della marimba; purtroppo il tutto è penalizzato dalla qualità video e audio dello streaming, ma il talento dell’artista è indiscutibile.
Morsa è l’album di un’artista consapevole e matura, nonostante sia un esordio. C’è una grande ricerca sia in ambito musicale che linguistico: l’artista racconta di come, in fase di scrittura, sia stata selezionata una serie di parole e di temi; ha notato come un elemento che tornava fosse l’idea del conflitto, della lotta, di qualcosa da superare. Si tratta di un disco breve, ma molto intenso. Ci sono la volontà e la speranza di riuscire presto a portarlo in live, con l’idea dello schermo di un cinema più che quella di una folla che balla: l’importante è che, in una forma o in un’altra si possa ricominciare a suonare, perché manca al pubblico e ai musicisti. Il veicolo-musica è uno strumento che Serena definisce “potente e necessario”.
Hanno lavorato musicisti “incredibili”, come li definisce Serena, e per ogni pezzo la formazione cambia: sono tutti colleghi che ha incontrato nel suo percorso artistico, come i Calibro 35 e Valeria Sturbo, che sognava di includere in un suo progetto. È un disco a cui vuole bene, che adesso “c’ha le gambe”, e l’amore della sua artefice si sente, probabilmente, anche dalla cura messa in ogni dettaglio delle varie tracce.
Morsa è un viaggio dentro se stessi, in cui Serena Altavilla condensa la propria interiorità e il proprio sguardo artistico sul mondo dentro e fuori di sé. Altavilla si dimostra un’artista capace, consapevole e matura, in un esordio che ha del sorprendente per la forza espressiva con cui vengono trattati certi temi e con cui vengono proposte sonorità di quello che lei definisce un modo suo, molto originale, di fare “pop”, che però, chiaramente, di commerciale e radiofonico ha ben poco, poiché il lato espressivo e intimista è chiaramente quello che spicca maggiormente.