– di Lucia Tamburello –
Il 17 novembre, t vernìce, pubblica il suo disco d’esordio “sempre, always… siempre” per Fonoprint Records & Panico Dischi annunciando le prime date dell’omonimo tour.
“Se suoni e fai un altro lavoro sei più un collezionista di farfalle o un artista? Se suoni e non hai successo, ha senso continuare? Non sarebbe meglio smettere di suonare? Non sarebbe meglio nel tempo libero divertirsi, rilassarsi o fare altro?”: non ci sono bastate le domande su cui l’artista si è auto-interrogato per scrivere il nuovo album, abbiamo deciso di indagare più a fondo:
Partiamo dal titolo, “sempre, always… siempre”: in che modo il concetto di eternità si lega al concept dell’album e quindi all’arte, al fare musica in generale?
Il titolo del disco è una citazione di una frase di una canzone presente al suo interno, “…siempre”. Va a rafforzare il concetto di “mancato tempo libero”, di quanto possa impattare la routine, la quotidianità, sulle cose che devi fare. Una frase dice: “sono sempre a lavoro, sempre, always…siempre”. È un modo per rafforzare ulteriormente questo concetto. Più che dell’eternità, parla del tempo che ti sfugge dalle mani e che non puoi più riprendere. Più o meno, la sensazione che evoca è quella. È un tema che lega molti pezzi del disco perché parla dei dubbi sul come si utilizza il proprio tempo e, in particolare, sul come si fa musica e perché si fa musica.
Ricollegandomi sia a “tiempo libero” che a “…siempre”; se facessi musica durante il tuo “tempo occupato”, quello lavorativo, credi che i tuoi pezzi avrebbero una forma e una sostanza diversa?
Sì, sicuramente. Credo che i testi di questo disco siano molto personali, ma che molte persone si ci possano rispecchiare. Parlano di come sia difficile campare con la musica se non si hanno le idee molto chiare. Io rivendico questa cosa, ho le idee molto confuse e, quindi, ho scritto un disco su questo.
In che misura la “vacanza” e la “techno” influiscono sulla tua scrittura? Fanno sempre parte del tempo libero o riguardano un momento separato?
La parte finale del disco, in particolare i pezzi di chiusura “vacanza”, “techno” e “torino, lingotto”, vanno a trattare “il tempo libero”, l’evasione in generale. Sono collegate alla ricerca obbligata del divertimento, della F.O.M.O., al fatto di doversi divertire e di dover dimostrare di divertirsi che diventa poi un qualcosa che ti devi imporre, che ti va a riempire il tempo perché devi farlo. Infatti, il disco chiude con quest’immagine dell’”amo, noi”, in “torino, lingotto”, che è tipica del gruppo di persone in discoteca che vanno lì a sfasciarsi, che si divertono: la logica del branco nel divertimento che, a volte, sembra quasi imposta dalla società e non da qualcosa che si vuole fare veramente.
Fare musica, per la società, rientra in quest’idea di divertimento o pensi che riguardi “un tempo”, a parte, diverso?
In Italia, perché anche giuridicamente l’artista non viene riconosciuto, si confonde sempre il divertimento con il lavoro nel campo dell’arte. Questo è uno dei motivi per cui molte persone sono costrette a lavorare e poi suonare nel tempo libero. C’è anche un po’ di politica in questo disco, il punto di vista di qualcuno che non ha quella spinta per buttarsi in un mondo difficile di un lavoro che non viene riconosciuto in quanto tale.
Cosa fa imbruttire le anime gentili di cui parli in “Orsi”?
Quello che le fa imbruttire è proprio l’atteggiamento pratico e disilluso che si deve avere nei confronti del mondo che ti porta a stare dentro dei contenitori: quello della comodità e del consumo. In quel pezzo, l’abbruttimento è dovuto proprio al fatto di vivere in un mondo che si basa sul consumismo. Questo ti porta, sì, una maggiore comodità, ma non ti lascia scampo. Questa canzone parla proprio del fatto di immaginare una via di uscita, un’exit strategy per pensare, un giorno, di mollare tutto e rifiutare questo tipo di mondo. Magari non succederà mai, ma quella cosa dentro di te continua ad esserci. Per me, ad esempio, continua ad esserci tramite la musica.
Tramite quest’album fai “un’analisi introspettiva alla scoperta della vera natura della creatività”; dopo la pubblicazione di questo disco hai scoperto quale sia la vera natura della creatività? Perché non si smette di suonare nonostante tutto?
La mia idea è quella di andare nella direzione in cui il fatto che il disco sia uscito o meno, se vada bene o male, non influisca sul come vivo l’arte. Nella fase in cui ho scritto questo disco, stavo perdendo la bussola e non sapevo dove andare. Il fatto che l’abbia scritto e che l’abbia pubblicato, evidentemente, dimostra come io abbia un sacco di voglia di suonare, di scrivere, di continuare a fare queste cose. Sto già cominciando a scrivere della roba nuova perché è una cosa che faccio istintivamente e l’ho fatta anche nel momento in cui volevo smettere di suonare. Secondo me, la direzione è già tracciata.
Rispetto a quelli di “Bestof2020”, i suoni di “sempre, always… siempre” appaiono un po’ più articolati e si discostano molto di più dal funk; è cambiato in qualche modo il tuo modo di comporre negli ultimi tre anni?
Sicuramente le sonorità sono più cupe perché è proprio il disco un po’ più cupo. Non è che i pezzi precedenti fossero meno introspettivi, però, magari, erano più ironici, più giovanili (li ho scritti quando ero parecchio più giovane). Questo disco mi sembra un po’ più maturo. È stato scritto durante il periodo della pandemia, dal 2020 in poi, traspare quell’atmosfera di cupezza perché ci sentivamo un po’ tutti così (a parte le rare eccezioni di persone che se la sono vissuta benissimo). Per me non è stato evidentemente così evidentemente e traspare quella cupezza lì perché era reale.
Hai presentato già il disco dal vivo a Torino il 16 novembre e ti attendono un po’ di date in giro per l’Italia; sul palco salirai da solista o ti accompagnerà qualcun’ altro?
Tutto il disco è stato suonato dalla band. A noi piace girare in full band perché è un modo giusto di presentare il lavoro che è stato fatto. Dopo una prima fase di scrittura di me e Lillo, poi, tutti i membri della band, compresa Gaia dei Baobab che fa i cori, hanno inciso le parti che si sentono nel disco. Il modo migliore di restituire l’esperienza live è quello di suonare, quando possibile, sempre in band. Le date che faremo saranno tutte così tranne una ed è il modo che ci piace di più per suonare perché ci divertiamo un casino e perché rende meglio l’idea della produzione che è stata fatta.