Espressione pericolosa e al tempo stesso affascinante: poesia sociale… ma in fondo è questo l’unico modo che trovo aderente alla descrizione di questo primo disco ufficiale di Ugo Russo, apolide a suo modo, bolognese come si deve nello spirito partigiano della canzone popolare d’autore. Ed è proprio questo il tema portante di “Europe” che significa anche tante europe diverse, dove l’uomo può ritrovarsi simile a se stesso, fratello e concittadino, nonostante la geografia e le latitudini. Un disco partigiano e acustico nei suoni desertici che un poco cercano l’America. Disco anche digitale dove l’elettronica arriva senza far troppa scena pomposa, anzi, spesso invisibile, sottile, spesso solo un timido contorno di estetica. Disco d’amore e di questa bella voce che spazia tra l’italiano portante ed arrangiamenti di francese e d’inglese. Disco di rimandi a Debord e alla protesta, ma anche disco che culla quel francesismo apolide, come lui, che non manca dall’inizio della prima traccia. Russo Amorale, questo il suo moniker, ci restituisce davvero un’opera interessante che sottolineiamo con piacere. Ah dimenticavo: non stupisce affatto questa presenza artistica di un certo Zamboni che a molti ha segnato un passaggio adolescenziale.
“Europe”, quante ce ne sono per te? E in particolare, quante ne conosciamo? Tutte domande molto visionarie per un disco che non è da meno direi…
Questo disco parla della mia Europa intima, vissuta tra la mia Francia natia e la mia Italia adottiva. È un discorso molto personale, legato alla mia sensibilità, alla mia biografia. Ma credo che ognuno possa avere una propria definizione dell’Europa, e se vogliamo buttarla sul politico, appare ovvio a tutti che abbiamo bisogno di immaginare altre «Europe».
Mi lasci dire che questo è un disco sociale? Pensi di ritrovarti in questa definizione?
Devo dire che questa cosa mi sorprende molto, in positivo: non credo affatto che il mio si possa definire un disco «impegnato», la vena lirica è molto forte. Invece, nelle domande che mi sono rivolte per le interviste, si finisce sempre a parlare di collettività, di socialità, quindi di politica, il che mi fa piacere. Per risponderti, direi che la componente sociale non è la prima cosa che affiora ma c’è, soprattutto nella canzone «Europe»… Il testo è scritto in francese ma nel video abbiamo aggiunto i sottotitoli in italiano per chi vuole saperne di più.
Secondo te la controcultura oggi esiste ancora?
Certo che esiste ancora. La controcultura va sempre di pari passo con il mainstream o la cultura ufficiale, sono le due facce della stessa medaglia. La difficoltà sta nell’individuarla, ci vuole sempre un po’ di distanza critica; non è sempre facile in questi anni in cui siamo quotidianamente bombardati da informazioni e stimoli.
Un bellissimo ascolto che oggi forse la rete e questi nuovi mezzi di comunicare rende (come fa con ogni cosa) in qualche modo aderente ad un sistema, ad un cliché… si perdono i potenziali particolari… che ne pensi?
Beh, è inevitabile, purtroppo o per fortuna. La fruizione della musica è cambiata drasticamente negli ultimi decenni, bisogna per forza adeguarsi a questi nuovi canali. Certo, hai la possibilità di far ascoltare la tua musica con maggiore facilità ma allo stesso tempo viene annegato nel marasma.
E parlando sempre di società: oggi secondo te il pubblico come reagisce all’ascolto delle canzoni?
Nonostante sia cambiato il modo di produrre e ascoltare la musica (brani alla spicciolata, non più album interi, spesso), credo che il pubblico reagisca allo stesso modo. Abbiamo tutti bisogno di musica, e soprattutto di canzoni, di ritornelli, di melodie. È una cosa umana, antropologica.
“Europe” personalmente mi ha comunicato un’energia viva, di rivoluzione per quanto l’amore e non la bandiera sia il vero leitmotiv. Secondo te si tornerà a fare la rivoluzione? In che misura?
Gli ultimi mesi sono stati un momento spartiacque per tutti, ma le previsioni sulle rivoluzioni falliscono sempre… Chissà, forse sta già accadendo e non ce ne rendiamo conto.