Se mia madre all’epoca della mia infanzia avesse posseduto una copia di The Sun, avrebbe risparmiato un sacco di esercizio fisico. Mi avrebbe piazzato davanti allo stereo, messo il volume a palla, e avrebbe lasciato che fossero i Rubbish Factory a prendermi a schiaffi. Le undici tracce di The Sun (Modern Life, 2013) scorrono implacabili e genuine, trascinando il malcapitato ascoltatore in un groove di batterie arrembanti e armonizzazioni vocali, tra ruggiti di chitarra distorta e sporcizie sonore d’oltreoceano. Certo, se ci mettessimo ad ascoltare seduti composti, grattandoci il mento, noteremmo qualche soluzione ripetuta e forse qualche rimando di troppo a Queens of the Stone Age, White Stripes e compagnia bella; ma sarebbe come ricevere una lettera d’amore e controllarne la punteggiatura. E poi vi sfido a rimanere fermi sui micidiali stacchi dell’opening “Bamsa” o sulle virate ritmiche assassine di “Stand up, sit down”. Per non parlare poi di “Dance with silence in an old ghost movie”, capolavoro di psichedelia in cui perdersi diventa quasi un nostro dovere. Il duo romano si mette in gioco, e gioca con noi, trovando spazio anche per un po’ di salubre autoironia con “Dance El Washington”; perché in fondo i veri duri dei film americani, quelli più amati, hanno sempre il sorriso sulle labbra. The Sun è un disco, a detta della stessa band, pieno di spazzatura e proveniente dalla spazzatura. Ma per fortuna mia madre, tra uno schiaffone e una ciabatta volante, mi ha insegnato a non buttare via niente.
Matteo Rotondi (Discover)