Roma Brucia, ma non di passione. Lo dicono gli spazi semi-vuoti di ieri sera durante i concerti, lo dice il fatto che ai bagni chimici non ci fosse neanche la fila (non c’era nessuno!), e lo dice quell’assembramento disordinato di anime sotto al main stage, in grado di occupare a malapena metà dello spazio a disposizione del pubblico. Che questa fosse per Roma Brucia e per il Viteculture Festival un’edizione fuori dall’ordinario è indubbio. La location è cambiata ed è difficile fidelizzare nuovamente il pubblico ad un altro contesto. Villa Ada nel tempo era diventata l’epicentro dell’estate musicale romana, non solo per addetti ai lavori e appassionati, ma anche e soprattutto per gli “esterni”, per tutti coloro che il mondo della musica indipendente non lo vivono se non in piccole joint venture come poteva essere l’appuntamento estivo al parco sulla Salaria. Fatto sta che nella prima serata del Roma Brucia di quest’anno, a occhio e croce, si sono registrate metà delle presenze rispetto all’anno scorso, quando c’era Calcutta. Colpa dei nomi in cartellone? Forse Giorgio Poi come headliner è un nome troppo debole? Certo è che il pubblico italiano vuole cantare e che l’esplosione più ragguardevole di urla isteriche è arrivata quando il nostro affezionatissimo ha attaccato con “Niente di strano”, che tutti, bene o male, conoscevano a memoria. Probabilmente è stata colpa degli spazi, leggermente dispersivi rispetto al cerchio concentrico di Villa Ada, in cui tutto è a portata di iride. Ma l’impressione, anche a festival finito, era che la festa dovesse ancora cominciare.
Ciononostante, bravi tutti. L’organizzazione è stata impeccabile e la cornice estetica dell’Ex Dogana ha dato nuova linfa all’immaginario del Roma Brucia. Da menzionare i La Droga (eletti seduta stante gruppo col più bel nome degli ultimi dieci anni), che al loro primo concerto hanno retto il palco con una scioltezza impressionante, proponendo un garage pop di altissima qualità. L’unica critica, semmai, risiede in quella forzata insistenza a voler riprodurre, specialmente nei movimenti e nell’estetica, un’attitudine “disagista” che a volte risulta troppo costruita.
Giorgio Poi, invece, si conferma l’unico (o perlomeno il più notevole) musicista indie a saper prendere in mano uno strumento e a fartici anche emozionare, pensate un po’! Chiudendo gli occhi, si potrebbe tranquillamente immaginare che sul palco ci siano sei persone, non soltanto tre, tanto che mette i brividi pensare a cosa potrebbe fare questo ragazzo se avesse una big band alle sue spalle.
Per il resto, il primo episodio del Roma Brucia di quest’anno è stata una gradevolissima serata che ci siamo goduti in pochi, o perlomeno, in molti di meno di quello che sarebbe stato lecito immaginare. Magari è stato solo il colpo d’occhio. Forse i numeri mi smentiranno, anzi, spero che lo faranno. Nel frattempo vedremo cosa accadrà stasera, ansiosi di vedere Carl Brave x Franco 126.
Giovanni Flamini