– di Assunta Urbano –
Quanta importanza hanno le canzoni nelle nostre vite? Cosa resta a distanza di anni dei tormentoni estivi? E, soprattutto, cosa si prova quando una canzone ha così tanto successo da segnare un’intera carriera? Queste tre domande avrebbero potuto guidarmi nella chiacchierata con Roberto Angelini, la cui “Gattomatto” della caldissima stagione estiva 2003 l’ha inevitabilmente ossessionato per anni. L’argomento non poteva non emergere, ma non è stato centrale nell’intervista.
Il cantautore romano fa il suo ingresso nel panorama musicale nel 2001, con il disco Signor Domani e partecipa a Sanremo Giovani con l’omonimo brano, vincendo il Premio della Critica “Mia Martini”.
Due anni dopo, la vita del musicista cambia completamente: traccia sedici, compilation rossa, numero uno del Festivalbar. Tra i Blur, Skin e Robbie Williams, “Gattomatto” diventa una delle canzoni più ascoltate dell’intera annata. Il brano è inserito nel disco Angelini e lo fa diventare ampiamente conosciuto al “grande pubblico”.
Tuttavia, Angelini dopo questa esperienza decide di distaccarsi dal mondo mainstream e fonda la sua etichetta indipendente FioriRari, con cui vengono pubblicati La vita concessa nel 2009 e Phineas Cage nel 2011.
Nel corso degli anni, presta la sua penna a brani come “Calore”, che ha permesso ad Emma Marrone di trionfare nell’edizione del 2010 di “Amici”. Suona con svariati colleghi in studio e in esibizioni dal vivo, come nel caso del violinista Rodrigo D’Erasmo, con cui si prefigge l’obiettivo di diffondere i capolavori di Nick Drake. Non dimentichiamo l’amico Niccolò Fabi, a cui produce Tradizione e tradimento nel 2019 e che li vede salire insieme sui palchi di tutta la Penisola.
Il pubblico televisivo si affeziona all’artista anche grazie, prima a Gazebo, in onda su Raitre, e poi a Propaganda Live, appuntamento fisso del venerdì sera di La7.
Negli ultimi mesi del 2020, Roberto Angelini annuncia l’uscita del suo quinto progetto musicale con i singoli “Incognita” ed il più recente “Condor” del 12 febbraio. Che sia questo il ritorno di un nuovo animale nell’immaginario del cantautore?
“Condor” è il tuo più recente singolo, pubblicato venerdì 12 febbraio. Ci racconti di questa canzone, del suo significato e della scelta di questo animale insolito?
In realtà, quella dell’animale non è stata una vera scelta, piuttosto una sorpresa, è molto più metaforico di quello che può sembrare. È tutta la parte “nera” di una serie di buoni propositi. È un invito a cercare di vivere intensamente la propria vita e per farlo non esiste una strada dritta. Bisogna essere pronti a recepire cosa ci arriva, nel bene e nel male. Essere curiosi e pronti a ripartire anche quando si pensa di essere arrivati. Tutte belle cose, fantastiche, poi però ad un certo punto c’è la parte “nera” che arriva. È il condor: questo animale che ha le sembianze di un fantastico rapace e potrebbe sembrare un’aquila. Il motivo per cui mi piaceva quest’idea è perché si tratta di un essere che si nutre di resti, di carcasse. È una iena con le ali. Metaforicamente, quando molli e ti lasci trascinare in strade in cui non volevi andare, in questo su e giù di follia, si cerca un equilibrio. È questo il significato della canzone. È un blues, ma ha le caratteristiche di un brano leggero.
Il videoclip è stato girato in Basilicata e ti vede prendere la forma del condor in una location mozzafiato. Come è nata questa idea?
L’idea è stata dei due fantastici registi Francesco Cabras e Alberto Molinari, con cui avevo già lavorato e sono amico da anni. Hanno pensato loro di andare in Basilicata e sfruttare delle location incredibili. È un luogo comune; l’Italia è piena di zone bellissime e loro mi hanno portato in posti che non conoscevo. Poi, è venuta fuori l’idea di rappresentare questo condor in maniera ironica: una sorta di principe maldestro e goffo. Mi piace tanto quello che queste immagini danno alla canzone. Quando fai un video non sai mai quale sarà la tua reazione finale e in questo caso sono molto felice perché la canzone prende anche un’altra forma.
In tutto questo, non pensando alla battuta riguardo la Basilicata, se esiste o no.
Poteva andare peggio: potevate andare in Molise.
[ride ndr]. Anche il Molise è bellissimo! Grazie a questo strano mestiere ho avuto la possibilità di conoscere realtà di provincia sempre nuove e splendide.
La canzone, tra l’altro, è la prima pubblicata quest’anno, ma insieme ad Incognita, uscita a fine 2020, farà parte di un tuo nuovo progetto discografico. Cosa dobbiamo aspettarci dal quinto disco di Roberto Angelini?
Guarda, in realtà, il disco è pronto. Ho pensato, però, che sarebbe una follia farlo uscire in questo periodo. Faccio parte di una generazione di musicisti e cantautori che non vive di visualizzazione o di like. Ho iniziato a fare questo lavoro quando non esisteva neanche YouTube. Vedo cambiare le cose sotto i miei occhi in continuazione, cerco di capirle e di adeguarmi a ciò che accade e al modo in cui il pubblico, oggi, fruisce la musica. Far uscire un album ora e portarlo in giro in un momento futuro indefinito lo avrebbe fatto sembrare già vecchio, quindi, mi sono un po’ adeguato, preferendo far uscire i singoli, come accadeva anni fa.
Esatto. Un po’ sembra di essere tornati agli anni Sessanta, con l’attenzione sui singoli; solo che purtroppo i 45 giri non sono più “fisici” e mi manca molto questo aspetto. Qual è la tua idea di album oggi e che importanza ha, secondo te, per i musicisti e per gli ascoltatori?
Manca tanto anche a me la fisicità! Da una parte ci adeguiamo, dall’altra si può essere felici del fatto che il vinile sia tornato incredibilmente di moda. Ad esempio, il mio ultimo disco, “Phineas Cage”, è uscito nel 2012 e abbiamo stampato in quel caso i cd. Dieci anni fa era impensabile stampare un vinile. Oggi sarebbe quasi impensabile l’opposto, perché non sapresti neanche dove ascoltarlo. Le macchine e i computer non hanno più il lettore cd, ma allo stesso tempo è tornato in voga il vinile e non vedo l’ora di stamparlo. Forse non tutti hanno il giradischi, ma stringere un album tra le mani ha la sua bellezza. Anche stupidamente: ad un concerto è più bello firmare un vinile. Poi, magari, il brano lo senti su YouTube o Spotify. Adesso è molto più importante che siano ascoltati lì, nelle playlist, mentre quando io ho iniziato era fondamentale passare almeno una volta su Radio Deejay. Cambiano le cose, ma il succo è sempre lo stesso.