Richard Von Sabeth, al secolo Riccardo Sabetti, ha deciso, in “The King Of Nothing”, di dare una soffiata sul goth togliendogli un po’ di polvere da sopra per vedere in che stato fosse ridotto. Non è invecchiato benissimo dopo i fasti dell’emo, e sottogeneri di sorta cui abbiamo assistito ormai una decade fa, ma se preso con le giuste misure ancora riesce a dare qualcosa, specialmente se gli si dà un insolito e inaspettato tocco folk, come ha fatto RVS.
Anacronistico non è sinonimo di brutto, gli spunti non mancano e la strumentazione di cui dispone Richard è di tutto rispetto visto l’organico composto da 32 elementi d’orchestra, diciamo solo che magari la carica di oscurità che porta con sé questo album è poco in linea con le nuove forme di dark (Polo Gang esclusa), molto più orientate allo strazio post-adolescenziale che a quello esteriore dei gravosi archi presenti in “The King Of Nothing” che a volte risultano più barocchi che gotici.
Ho finito i calembour, però posso dire che il disco ha la mia sufficienza piena trattandosi di un disco d’esordio, che non teme di osare quanto basta.