– di Sara Fabrizi –
Dopo i fasti del precedente C’è Chi Dice No, in cui era riuscito a fondere perfettamente rigurgiti da rocker puro e disincanto da maturo cantautore, Vasco chiude il decennio con un album che potrebbe sembrare ad un primo ascolto senza infamia e senza lode. Non inventa nulla, non rivoluziona nulla, né a livello di arrangiamenti né di songwriting.
Gli eighties non li chiude col botto, non li mette a ferro e fuoco come aveva fatto con i seventies. Piuttosto li prolunga, li porta alle estreme conseguenze, forse li annacqua pure un po’. Mantiene questa formula, praticata e vincente, di pezzi ancora rock e balladone introspettive, che ci aveva incantati nell’album precedente. Solo che qui la malinconia, le disillusioni, infine la rassegnazione, sono molto più marcate, perfetta chiusura di un’epoca/decennio che ci aveva illusoriamente coccolati con la sua superficie dorata di divertimento sfrenato nel tentativo di consolare il nostro cuore spezzato dalle P38 che uccisero ogni sogno sessantottino. Ma gli anni 80 ci hanno dato solo zucchero e mai reale nutrimento.
E lo sa bene Vasco che ha cercato di cavalcarli, uscendone però con gli occhi lucidi e una rabbia residua da trasformare ancora in rock’n’roll. Liberi Liberi è un testamento, è un fare il punto sullo stato dell’arte e della società. Una summa. La title track è l’emblema del disincanto e di ogni sogno infranto. Ballad magnifica, portata avanti da un languido sax che rende tangibile l’atmosfera. Quando poi cresce tutto culminando nel mitico ritornello “Liberi liberi siamo noi, ma poi liberi da che cosa..” sentiamo un tuffo al cuore, percepiamo tutta la fatica che fanno per restare a galla gli eterni sognatori. E quelle domande retoriche “Cosa diventò? Cosa diventò? Quella voglia che non c’è più..” Tante stilettate al cuore che incitano la nostra rabbia latente portandoci, per un attimo, a credere che la rivoluzione sia ancora possibile. Ma è solo un’illusione, dalla rassegnazione dell’età adulta non se ne esce. E le chitarre con gli assoli suggellano questa mesta consapevolezza.
L’altro grande lento dell’album è Dillo Alla Luna. Brano dolente e bellissimo. L’amore deluso viene cantato con delle liriche dolci ed arrabbiate. Il Vasco romantico, ma non più ingenuo. Si veste di una dolcezza nuova che vuole solo la verità. Ha ormai le spalle quadrate per sostenere il peso del fallimento, e può sempre dare la colpa alla luna. L’intro di chitarra è un magnifico arpeggio che ci conduce nel vivo del pezzo, scandendo tutta la sua fragilità e la sua forza. Poi entrano le tastiere, mentre la batteria scandisce il ritmo in questo incedere verso il ritornello. “Guardami in faccia quando mi parli, se sei sincera!” Qui esplode tutto, in un grido che poi diventa quasi un lamento, un pianto, accompagnato dal sax e dalla batteria che mai come in questo brano sono fisici e un tutt’uno con la voce. Roba che all’ascolto ci farà tremare, sempre. I brani rock dell’album sono in realtà pop rock.
Di quello fatto bene, che funziona, con arrangiamenti accattivanti e slogan facili da urlare, funzionali al format del concertone di Vasco. Ed il successivo live album, Fronte Del Palco, ne farà man bassa. Il rocker sa bene che, accanto allo zoccolo duro dei fan della prima ora, c’è un nucleo di neofiti da conquistare con un mix di sound del momento e tematiche easy. Non più i ragazzi fatti a pezzi dalla loro coscienza politica in cerca di qualche paradiso (musicale) artificiale. Bensì ragazzini che semplicemente vogliono divertirsi, sotto la spinta dell’età e dell’epoca edonistica in cui sono nati. E che ai concerti ci vanno per prendere parte ad un eccitante rituale di massa, e sempre meno per amore della Musica. Tendenze che poi si esaspereranno negli anni ’90. Per cui trova posto in questo album una manciata di brani tiepidamente irriverenti, con arrangiamenti godibilissimi. Belli energici, ci immaginiamo a gridarli sotto un palco, infuocati da qualcosa che somiglia alla ribellione senza, ahimè, esserlo.
Domenica Lunatica, Ormai È Tardi, Vivere Senza Te, …Muoviti!, “Stasera!”, sono pezzi sostanzialmente omogenei fra loro. Temi vari riconducibili alla solita tenue irriverenza, e insofferenza, che sia nei confronti di un amico, di una donna, di una situazione, di un’imposizione sociale. Tutti suonati benissimo, con il sax che si contende con le chitarre il ruolo di protagonista. Una menzione a parte merita invece Tango… (Della Gelosia). Interessante esempio di trasposizione di una forma musicale popolare, il tango, in una canzone pop (rock). Sound e ritmo gypsy colorano un testo semplice ma incisivo. Un brano che esula da tutto il resto. Forse un tributo di Vasco alle radici della musica popolare. Forse una sua necessità di fermarsi e riflettere e pensare al passato. Come un adulto che continua a fare musica rock per non deludere la schiera dei suoi fan (storici e giovani) ma che forse ritiene che un ciclo sia finito e che, magari, vorrebbe fare altro.