– di Sara Fabrizi –
Nel precedente Cosa Succede In Città, Vasco aveva abbassato i toni, riposto eccessive irruenze e pose da rocker ribelle per abbracciare un più rassicurante pop rock. Nel successivo C’è Chi Dice No è talmente maturo da restare su questa strada ma sostanziandola di maggiore riflessività e profondità, sporcandola ancora di qualche memorabile guizzo di rock, passione e irriverenza. Un elemento quasi del tutto nuovo finora sono i toni cupi, il pessimismo rassegnato e agrodolce che la fa da padrone nelle ballads dell’album. Indice che il rocker/cantautore è diventato più riflessivo sia come normale evoluzione personale/anagrafica sia come prodotto di questi eighties così superficialmente luccicanti così privi di un forte senso di appartenenza e di orizzonti condivisi.
E se finora Vasco aveva galoppato questa nuova era edonistica un po’ ribellandosi ad essa un po’ usandone la sfrenata libertà per contestarla, in un processo schizofrenico di adattamento vs evasione, ora sembra essere troppo grande e troppo stanco per farlo ancora. Quindi si relega lì in un angolo a rimuginare, ad osservare. Assume il piglio del cantautore disincantato, come si può evincere in maniera palese già dal suo ritratto sulla copertina del disco. E partorisce una manciata di brani che sono entrati nell’immaginario collettivo della musica leggera italiana. Caratterizzanti un’epoca, un mood e le loro mille sfumature.
I lenti del disco sono pervasi da una malinconia e da un’indolenza che nei precedenti album, usciti dal genio giovanile, non abbiamo conosciuto. Grande uso delle tastiere che tessono l’atmosfera rendendola quasi fisica, il sax che suggella perfettamente le suggestioni. Testi intrisi di accettazione delle cose e sguardo comprensivo sugli eventi.
Vivere Una Favola, brano di apertura, è dolente come un lamento. Così pieno di pathos, melanconia e consapevolezza di non poter intervenire sulla realtà per cambiarla. Il sax magistralmente sottolinea il cupo del pezzo rendendolo al contempo leggero e fluente. Un brano che passa sulle nostre vite come un sospiro.
Tra le ballads anche Ridere Di Te e Ciao. La prima si riferisce presumibilmente ad una donna, alla complessità schizofrenica dei rapporti. Con fare dolcemente ironico ci si arrende alla fine di un amore. La seconda pure ha l’odore della fine, della resa, dell’arrendersi, del commiato. E del “senza un amore così, io posso stare sì”. Gli arrangiamenti sono delicati, sottili, e crescono solo per “urlare” un ritornello che non è però ribellione matta bensì passione forzosamente sedata.
Brava Giulia è, invece, un brano rock cazzuto. Ancora un nome di donna che si va a incastonare in quella collezione di figure femminili inaugurate nel 1978. Non più una ragazzina dolce e timida, o una donna tormentata e travolta dagli eventi, ma una donna forte e determinata che si prende la vita che vuole. Assolo di elettrica strong come ai bei tempi, batteria decisa, tastiere incalzanti. Si torna insomma all’armamentario di arrangiamenti del migliore Vasco rock. Che ritroviamo, alla massima potenza, nella mitica title track.
C’è Chi Dice No è un bell’inno contro il conformismo e l’omologazione. Le velleità di ribelle ritornano in questa seconda metà degli 80s e un Vasco in gran “rock rispolvero” ce ne racconta quattro su quelli che non si accontentano, che riescono ancora a dire no. Vestendosi, ancora una volta, di questo ruolo di vate di “coloro che non ci stanno”.
A questa figura, nell’album, fa da contraltare quel personaggio caciarone e stigmatizzato come pericoloso (dalla stampa e dall’opinione pubblica) che è il pifferaio che guida l’allegra combriccola del Blasco (Rossi). Brano ironico in cui letteralmente ride in faccia a chi ancora si affanna a demonizzarlo. Assolutamente godibile, così pieno di sarcasmo rock.
Sì, Vasco nostro, sebbene ora faccia il riflessivo amareggiato, non ce la fa proprio a celare troppo a lungo la sua natura vulcanica. E ce lo dimostra in Non Mi Va, rockeggiante rigurgito di irriverenza e ribellione che accogliamo con gioia.
Il brano di chiusura, Lunedì, è scanzonato come poteva essere una Susanna o un Bollicine. Una sana ventata di leggerezza. Una canzone estiva da urlare allegramente, nonostante la ragazza lo abbia lasciato. Forse sua ultima testimonianza di quello stile di vita “free and easy” che aveva incantato tanti giovani bisognosi di riprendersi dalle batoste degli anni ’70.