– di Sara Fabrizi –
Se Colpa D’Alfredo aveva fatto esplodere ogni sua velleità rock è con il successivo Siamo Solo Noi che la sua consacrazione diventa totale ed innegabile.
Un fenomeno nuovo e dirompente, scandaloso, peccaminoso, travolgente. Affatto moderato e democristiano, ma di sicuro storceva il naso pure il morigerato PCI. Forse gradivano di più i ragazzi dei movimenti extraparlamentari, delusi e scottati dalle lotte, travolti dal naufragio sanguinoso delle loro tensioni ideali.
Non restava loro che trovare un Vate che cantasse, gridandola, la loro disillusione. Traghettandoli verso un modus vivendi tipico di chi non ha più nulla da perdere. “Generazione di sconvolti, che non ha più santi né eroi”. Se partiamo da questa celebre frase della title track capiamo il senso dell’intero album.
Giovani e giovanissimi che, abbandonata la lotta e l’ossessione per “il pubblico è privato”, si rifugiano nella dimensione dell’edonismo, anche sfrenato. La fantasia al potere proprio non era riuscita ad andarci, tanto valeva ripiegare nel privato dei propri piaceri anche un po’ dissoluti. Che poi privato non fu mai, perché questa istanza di ribellione alla delusione era talmente condivisa da creare un nuovo senso di comunità.
Un collettivo di ragazzi col sorriso amaro per i sogni perduti e la voglia di sfrenatezza, di dionisiaco, come soluzione. Ragazzi che mantengono comunque un’anima, un cuore, un’indole romantica, e che soffrono per amore fra alcol, valium e paradisi artificiali. Vasco ha saputo raccogliere tutto questo clima socio-culturale, tutto questo disagio psicologico e l’ha catalizzato in Musica.
In tanti album tra sfrenatezze rock e romanticismo, di cui Siamo Solo Noi è il capostipite. 8 brani, per sacrificare sull’altare del rock ogni perbenismo in cambio dello scettro di Re del Rock italico. La title track, nonché pezzo di apertura, è il noto inno generazionale ormai anche transgenerazionale. Un’apertura di basso e chitarra divenuta mitologica che ci porta nel vivo del pezzo, con la voce che attacca sui giri di basso che scandiscono il racconto di questo stile di vita. Gradualmente sale tutto e le chitarre si infiammano fino ad urlare il proclama del ritornello, con la batteria che con i suoi colpi dà sostanza e supporto al tutto. Si torna poi al consueto giro di basso, poi sale tutto di nuovo, tutto nuovamente si infiamma. E Vasco puntualizza che “Siamo solo noi, quelli che non hanno voglia di far niente, rubano solamente, generazione di sconvolti che non ha più santi né eroi, siamo solo noi!” Ha scritto il suo manifesto programmatico, è così entrato nella leggenda.
A seguire Ieri Ho Sgozzato Mio Figlio. Un titolo ritenuto immorale tanto da scrivere Sg. Al posto di Sgozzato sulla copertina dell’album. Un pezzo volutamente provocatorio e irriverente, un bell’hard rock. Grande prova dei chitarristi Maurizio Solieri e Massimo Riva.
Che Ironia è un pezzo leggero e divertente. Qui la chitarra elettrica la suona Vasco. Linguaggio facile, diretto, sloganistico. Si inizia a discostare dalla profondità degli stilemi del cantautorato che permeava i 3 album precedenti (soprattutto il primo) per abbracciare temi più easy e suoni incisivi e travolgenti.
Voglio Andare Al Mare è il prodotto perfetto di questa nuova logica. Poche frasi scanzonate ripetute in loop su una base reggae che poi sfocia in un deciso rock.
Ed ecco Brava. La prima concessione dell’album all’amore, al romanticismo. Vasco canta la delusione ricevuta da una donna che si è voluta solo divertire con lui. Emerge qui la figura di una donna forte e dominatrice, probabilmente una femminista che conduce il gioco. Molto diversa dalle figure angelicate delle donne delle ballad contenute nei precedenti album. “E quando sei riuscita a farmi cadere con la tua logica di calze nere, ti sei voluta prender gioco di me, ti sei voluta divertire”. Inizia in sordina poi cresce fino a gridare la sua cocente delusione, salgono tutti gli strumenti con una chitarra elettrica che tesse la trama principale di questo sfogo così pieno d’amore così pieno di rabbia. Si ritorna infine alla calma con pochi ripetuti colpi di batteria e le tastiere delicate che suggellano le ultime parole “Ma eri brava però a fare l’amore, sembravi nata per farlo, ricordo bene”. Credo che sia impossibile non amare questo pezzo e non sentirlo dentro come una pugnalata, come un vulcano in eruzione.
Con Dimentichiamoci Questa Città si torna di nuovo nell’alveo della leggerezza e delle sfrenatezze rock. Slogan facili e voglia di divertirsi. Un hard rock che ricorda Vicious di Lou Reed.
Incredibile Romantica è l’altra romanticheria del disco. Un intro soft di chitarra e basso, poi i colpi di batteria danno il La alla voce che inizia a raccontare di questa donna irrimediabilmente romantica, anche se segnata dall’aver sofferto. Una figura tenera, bella, coraggiosa. La narrazione tenue poi sale di intensità con le chitarre che si infiammano e danno luogo ad un assolo godibilissimo (grande Massimo Riva!). Le tastiere qui sono di Curreri che ci regala ancora il suo moog mentre le chitarre salgono di nuovo decretando una vera rock ballad.
A chiudere il cerchio è Valium, sorniona e acida. Un rock blues sommesso che inneggia al potere (salvifico o mortale?) dei tranquillanti. Un ottimo modo di suggellare un album di rock, sfrenatezze e leggerezze varie.