– di Sara Fabrizi –
Viaggi vissuti in prima persona, viaggi di altri, viaggi solo desiderati, amori feriti, promiscuità giovanili, storie di droga e di violenza. Il repertorio tematico di Viaggi e Intemperie ha una sua compattezza di fondo, un concept album degli obiettivi mancati, dei rimpianti, degli errori anche tragici. Il mood dell’individuo irrisoluto, un po’ inetto, ma anche tenero, che trovava posto nelle storie di quotidianità degli album precedenti, qui si tinge di colori più forti.
La malinconia è più tangibile, il rimpianto fa più male, la sfortuna è più nera, gli sbagli si pagano carissimo. Il tratteggio, più soft, pastello, della vita raccontata alla Graziani maniera, come abbiamo imparato ad osservare negli episodi precedenti, qui assume colori più decisi, sgargianti, quasi pulp. Come esito della sua avvenuta maturazione artistica (l’apice lo tocca in Agnese Dolce Agnese), come approccio al nuovo decennio, come aprirsi a nuove collaborazioni e a una nuova produzione.
Le rinnovate sonorità e il songwriting più netto derivano dal concorso di questi fattori che vanno ad inaugurare una fase nuova per il cantautore teramano in cui, purtroppo, la sua originalità e sostanza sui generis verranno, spesso, messe a repentaglio da esigenze discografico-produttive che ne volevano ingabbiare il genio e il germe dell’artistica follia. Ma non ci riusciranno a snaturare Ivan.
Almeno non ora, non qui, in questo album. In barba all’affiancamento con l’ex Perigeo Giovanni Tommaso, da cui potrebbero derivare gli arrangiamenti stilosi e un po’ roboanti, Ivan riesce a realizzare il “suo” album come avrebbe voluto. Se per un attimo sembra cedere alle mode più pop del momento poi si riprende alla grande con quel mix di chitarre, ora dolci ora rock, e liriche piene di umanità che riconosceremmo in mezzo a mille.
Ed ecco che troviamo Firenze (Canzone Triste). Il viaggio in questione è di “Barbarossa, studente in filosofia” conosciuto in quella Firenze che fa da sfondo all’amore condiviso per una stessa donna. Se mi domandassero quale brano del vastissimo canzoniere italiano è l’incarnazione della malinconia io non avrei dubbi. Arrangiamenti minimali, chitarra e batteria sussurrate, tutto è giocato sulla potenza evocativa delle liriche, del racconto di ricordi universitari evaporati come fossero nulla, lasciandolo “fottuto di malinconia, e di lei”. La bellezza di questa ballad è talmente dilaniante che faccio fatica a parlarne. Il suo fascino, che la rende ormai un classico della canzone d’autore italiana, risiede forse nell’essere la matrice del sentimento di nostalgia che accomuna ogni essere umano. Impossibile imbattersi in questo brano senza restarne turbati. Definirla un capolavoro è banale, è molto di più, sta nell’Olimpo della catarsi dal dolore tramite l’Arte. Un album che si apre in maniera così epica e così elegiaca si snoda poi in percorsi diversi ma non per questo meno incisivi ed accattivanti.
E siccome di viaggi si parla, abbiamo il viaggio compiuto e un po’ deludente di Siracusa, il viaggio in corso, su un ritmo boogie, di Isabella Sul Treno, il viaggio mai avvenuto e dolcemente immaginato di Olanda. E c’è l’amore giovanile e deluso, sullo sfondo di una metropoli frenetica che se ne frega di come stai, di Angelina, brano che chiude l’album facendo da contraltare a Firenze riallacciandosi alla tematica del tormento amoroso. In mezzo temi forti e scottanti, lo stupro in Tutto Questo Cosa C’Entra Con Il R&R, l’eroina che rovina la vita delle due cugine adolescenti Dada e Ivette in Dada, l’assurdità della guerra che si porta via un soldato nel giorno del suo compleanno e della fine del conflitto in Radio Londra. Tutto è raccontato in maniera quasi estrema, l’amore è straziante, il dolore è inconsolabile, l’errore non lascia scampo, la perdita è dilaniante. Ivan spinge sull’acceleratore della propria creatività, come per sfuggire a condizionamenti e pressioni sulla sua arte, e cristallizza la sua scrittura al servizio della narrazione in musica di ogni miseria e di ogni gioia umana.
Recensione splendida, vivi rallegramenti. Sono d’accordo, non so se definirlo il più grande disco di Ivan, ma per me sicuramente è quello dal quale le immaginazioni escono più vivide.