– di Sara Fabrizi –
Dopo l’esordio “battistiano”, per influenze, casa discografica e band, il chitarrista teramano ricerca ed ottiene un’emancipazione dal quel fortunato alveo che lo aveva lanciato ma ancora non fatto brillare di luce propria. La figura del chitarrista rock, perfetta sintesi cantautorale di chitarra e canto, nasce solo con il suo secondo album, I Lupi.
In un reciproco scambio di favori, ne fu sessioman e l’anno seguente andò in tour con lui, Graziani si avvalse dell’amico Antonello Venditti che ne curò produzione ed arrangiamenti (tastiere). Fa strano dire che il suo secondo album fu quello della maturità, in genere arriva più in là nella carriera di un cantautore. Meglio battezzarlo come album della maturazione. Perché i tratti fondamentali della sua poetica musicale sono già presenti tutti. La chitarra suonata egregiamente negli arpeggi acustici e nei riff elettrici, il ricordo che apre a racconti di vita interiore e di vita di provincia come se stessimo visionando diapositive, e le vediamo scorrere una dopo l’altra fino a creare una sorta di graphic novel.
Le canzoni de I Lupi sono da leggere come fumetti brevi, appena contestualizzati nell’epoca in cui si stagliano e piuttosto trasfigurati nella matrice dell’eterno ricordo del vissuto intimo. Così individuali, così universali. Che si tratti di una figura di donna che fu espediente per abbandonarsi al ricordo (Lugano Addio), di una disavventura per colpa di una donna che lo sedusse facendolo derubare (Motocross), di un canto folkloristico abruzzese (Ninna Nanna Dell’Uomo), di un’amara riflessione sulla cattiveria umana (I Lupi). Gli 8 episodi dell’album si susseguono senza un ordine stabilito, la loro successione potrebbe essere rimaneggiata a piacimento perché ciò conta è solamente la coscienza interiore di chi li racconta e di chi li ascolta.
La voce sibillina e vibrante di Ivan, le sue chitarre virtuose, ci fanno disporre a cerchio davanti a un focolare. E lui da vero cantastorie ci parla di Marta, dai seni pesanti e labbra rosse che gli parlava di frontiere, di finanzieri e contrabbando, di Eva (la seduttrice molto vendittiana) che dà da mangiare ai colombi e che trova le sue 100 lire nella giacca dell’assessore. Ci parla della ragazza magra come un giunco, conosciuta ad una festa in piazza, che gli tese una trappola facendolo derubare del suo motocross ad opera dei suoi complici. Ci parla dei lupi che arrivano sulla campagna tormentata, in tanti ed affamati.
Ci intona un canto in dialetto abruzzese, ci racconta una storia un po’ ermetica (Il Soldo). E finita questa adunanza attorno al fuoco, sopraggiunta la mattina, ci rimettiamo in piedi con i lasciti del fascino della perfezione lirica-melodica della sua ballad per antonomasia (Lugano Addio), con il ritmo accattivante di quella Motocross quasi di ispirazione dylaniana (All Along The Watchtower), con il pensiero a quella Eva un po’ tenera un po’arrivista così simile a tante altre affascinanti e controverse figure femminili del più memorabile cantautorato nazionale.